Recensione: “La filosofia dei Sex Pistols”, quattro pazzi sul palcoscenico
In un mondo che nonostante la globalizzazione sembra restringersi ogni giorno di più, alimentato dalla paura verso ciò che è altro rispetto ai nostri schemi conoscitivi, l’EVENTO, nella visione del filosofo Deleuze, è una macchina da guerra nomade capace di rompere gli ingranaggi del sistema, di tutto ciò che sembra poter funzionare soltanto in una direzione e secondo leggi universali.
Ed è proprio un EVENTO ciò che avviene a Manchester il 4 giugno 1976, in Peter Street, dove alle 19.30 si tiene il concerto di un nuovo gruppo di Londra, tali Sex Pistols.
La filosofia dei Sex Pistols, chiunque può farlo, fallo tu stesso, edito da Mimesis, parte da questo concerto per definire ciò che è accaduto dopo, con uno stile a metà tra l’autobiografico e il romanzesco.
“Quattro pazzi sul palcoscenico, solo uno sapeva suonare, tre ci riuscivano a malapena e nessuno sapeva cantare: sono Glen Matlock, Paul Cook, Steve Jones e la voce di John Lydon, in arte Johnny Rotten”.
Quel concerto assunto come simbolo dell’intero movimento punk, ripropone le tre domande della filosofia sull’attualità del soggetto: Cosa posso? Cosa so? Cosa sono?
Ricorda Peter Hook:
“Lo show dei Pistols fu orrendo, il sound era pessimo. Però quello che ti catturava era la ribellione (…) dopo la musica passò dall’essere qualcosa di molto glamour, quasi inarrivabile, a qualcosa che potevi fare anche tu: fu una rivelazione assoluta.”
Come l’universo in espansione dopo il Big Bang, tutto quanto è venuto dopo è riconducibile a questo momento esplosivo. I Sex Pistols sono stati un punto d’accensione. Lo stesso ritornello urlato “no future for you” è da contestualizzare nella possibilità di un nuovo inizio.
Quel “chiunque può farlo, fallo anche tu” costituisce la forza e la positività di un’esperienza da vivere ancora oggi e da tramandare ai posteri. Un’esperienza da vivere come il filosofo greco Diogene attraverso la corporeità, il corpo. Questo era il punk!
Per l’autore Giovanni Catellani, la canzone più fedele a tale visione è Bodies, “corpi”.
Il testo ha qualcosa di straordinariamente poetico, Pauline, ragazza di Birmingham, completamente pazza, che amava vivere sugli alberi del manicomio in cui era rinchiusa, non può che abortire il figlio concepito da un abuso. Sembra essere una storia vera, ispirata da una lettera di una fan che scriveva al gruppo dal manicomio di Birmingham.
“Muori piccolo bambino urlante”( … )
“Corpo! io non sono un animale” .
Johnny Rotten urla “bodies”, nell’aria a disposizione di tutti, un urlo, un corpo, una potenza.
“Cosa può un corpo?” chiedeva Spinoza filosofo olandese, e aggiungeva che esso può sperimentare le proprie capacità, nel momento stesso in cui le usa, senza conoscenze preliminari: l’essenza del punk.
Il gruppo che voleva mettere a ferro e fuoco il mondo si sciolse dopo poco tempo, ma le loro provocazioni punk non sono mai passate di moda. Anzi ritornano. Spesso inaspettatamente.
Il movimento contagiò come un virus la musica, il costume, l’arte e la comunicazione e, non è morto. Sembrava impossibile, ma 40 anni dopo la sua nascita il punk è diventato parte dell’eredità culturale del Regno Unito. Fa parte dell’identità nazionale del paese tanto quanto la Regina, la cui iconografia è stata usata e abusata dalla cultura punk stessa.
Quell’atto di ribellione contro il sistema ha qualcosa di profondamente eccentrico ora, appare quasi come una distorta forma di affetto. Il loro nichilismo presunto o cinismo, era piuttosto una forma di speranza, di resistenza.
La loro gita sul Tamigi in battello, mentre si festeggiavano i 25 anni di Regno della Regina Elisabetta, cantando e suonando “Dio salvi la regina e il suo regime fascista”, resta nell’immaginario come testimonianza della sfrontatezza più assoluta, tuttavia nella loro provocazione, senza volerlo, c’è un percorso di speranza.
I sex Pistols non erano di certo filosofi, la filosofia non era nei loro intenti, ma hanno reinventato suoni, parole e concetti, rispondendo in modo alternativo a vecchie domande: Cosa sono? Cosa so? Cosa posso fare?
Partendo da quella sera del 4 giugno 1976, qualcosa è riuscito ad arrivare a coloro che erano lì ad ascoltarli, persone in cui si è accesa una luce improvvisa. E qualcosa è arrivato fino a noi, in qualche strano modo riuscendo a influire sulla nostra visione del mondo.
Giovanni Catellani è nato a Reggio Emilia, laureato in Giurisprudenza all’Università di Bologna nel 1983 e in Filosofia all’Università di Verona nel 2002. Avvocato cassazionista, si occupa del riconoscimento dei diritti legati alla fragilità delle persone e di responsabilità da reato delle aziende. La musica è da sempre una sua grande passione e col tempo anche la filosofia.