Recensione: “La figurante” – Un conflitto irrisolto tra vivere nell’ombra o nella luce
La figurante
di Pauline Kleine
Traduzione di Lisa Ginzburg
Editore Carbonio
L’Enciclopedia Treccani definisce Figurante, dal participio presente figurare: “chi agisce senza avere parti di rilievo, in ambito cinematografico, teatrale, balli, cortei. ecc. anche in scene di gruppo che fanno da contorno e di cui spesso, lo spettatore non si accorge. Una comparsa quindi, un personaggio di poco conto.”
Procedendo nella lettura del libro, viene spontanea una domanda: Camille Tazieff, la protagonista, è effettivamente una comparsa o si “sente” così? E’ un dilemma che ci coinvolge dall’inizio alla fine del libro. Chi è in realtà questa figura emblematica e indecifrabile? A tratti frustata e vissuta ai margini della vita, a volte con un’impennata di orgoglio, fa scelte importanti per la sua rinascita come la partenza per New York. Spesso, scollata dalla realtà, è adagiata in una sorta di indolenza quasi patologica, a volte invece è spregiudicata e talmente disinibita da accettare un lavoro alla compagnia SmartSex come “consulente” in servizi erotici telefonici. Qui, prende consapevolezza della miseria sessuale degli uomini che si eccitano solo attraverso un cavo telefonico. Ma, cosa ancora più eclatante, che proprio questa miseria le procura a sua volta una profonda eccitazione. Poi, dopo due anni, una nuova reazione. Lascia New York e torna a Parigi.
Camille è una bambina piacevole, figlia di una madre bellissima, forse un po’ troppo tollerante, troppo aperta, tanto da non far capire a Camille la scelta tra il lecito e l’illecito. Una madre che le permette di portare i suoi fidanzatini a fare sesso in casa e che la disturba mentre lo fa. Questo potrebbe forse avere instaurato in lei una mancanza di autostima e la capacità di accettarsi.
Man mano che cresce, Camille dissacra il suo corpo, focalizzando la sua attenzione solo al suo grosso naso avvertendo un senso di frustrazione in tutto quello che fa tanto da realizzare che la sua sola salvezza è “vivere nell’ombra” ma, soprattutto, vivere in un limbo da cui le sembra impossibile uscire. Poi, la rinascita e le gratificazioni di quando lavora nella galleria d’arte di Lars Jensen e l’incontro con Michael Fraser che le apre un conto in banca e pensa di avere capito cosa vuole nella vita.
Poi l’incontro con Elias, ricco e affascinante con il quale instaura un rapporto che sembra sfociare nel matrimonio. Questo la porterà alla consapevolezza di sentirsi come “tagliata in due”e che fare sesso non ha nulla a che fare con l’amore. Da qui la decisione più importante della sua vita: la scelta di contare o subire quello che alla fine gli altri vogliono da te. Assumersi cioè la responsabilità delle proprie scelte ed azioni, senza attribuire agli altri la colpa dei propri errori o insuccessi.
L’autrice con una scrittura asciutta e penetrante e con salti letterari dal monologo introspettivo, al flusso di coscienza, riesce ad affrontare temi a volte imbarazzanti come l’erotismo con una scioltezza inaspettata ma soprattutto ci pone di fronte al mimetismo con il quale a volte ci mascheriamo e che viviamo come fosse la nostra realtà.
Pauline Klein è nata in Francia nel 1976. Ha studiato filosofia alla Sorbona ed estetica alla Nanterre University ed entra poi alla Saint Martin’s Schoolof Art di Londra. Ha lavorato per quattro anni in una galleria d’arte di New York . Con il suo primo romanzo, “Alice Kahn” vince il Premio Fénéon e il Prix Murat.