Recensione: "La felicità dei mobilifici" - Capitalismo, Illusioni e delusioni
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Recensione: “La felicità dei mobilifici” – Capitalismo, Illusioni e delusioni

Recensione: "La felicità dei mobilifici" - Capitalismo, Illusioni e delusioni La felicità dei mobilifici
di Ingo Schulze
a cura di Stefano Zangrando
Marietti, 2021

“La mia felicità era l’infelicità degli altri”. Anzi, cosa altro era, se non: “La felicità dei mobilifici e delle concessionarie?”
Ingo Shulze, ex-comunista, deluso dalle magnifiche promesse dal capitalismo, denuncia nero su bianco senza peli sulla lingua: “Il bel mondo della nostra merce è sorretto nel profondo da un lavoro massacrante e non troppo diverso dal lavoro schiavile”.

Shulze, considerato tra i più grandi scrittori tedeschi, e tra i più autorevoli intellettuali europei contemporanei, è vissuto nella Germania Est negli anni in cui si viveva l’illusione di poter cambiare tutto per davvero, intanto inesorabilmente si imboccava il tunnel di un’altra schiavitù, alla mercè di un padrone più subdolo e spietato: il mercato capitalista.
Erano gli anni ’80-’90.

Questo libro snello e di piacevole lettura, raccoglie tre brevi saggi (tratti da interventi dello scrittore tedesco al convegno su “Quale bellezza salverà il mondo”, presso la Libera Università di Bolzano).
Tradotti da Zangrando, ne vien fuori un testo che è un po’ saggio, un po’ autobiografia, molto critica arguta e spietata del nuovo modo di vivere e pensare nel mondo post-comunista della Germania dell’est, dove ormai ogni cosa era subordinata ai soldi: “sembrava che con il denaro si potesse fare tutto, nel bene e nel male”.

Condito da tantissimi aneddoti di episodi vissuti dallo stesso autore, le pagine rivelano con schiettezza una realtà conosciuta direttamente, mettendo in evidenza come cambia il concetto di “normalità” e il modo di pensare e vivere di un popolo, illuso per un istante di vivere una sorta di liberazione.

Ingo Schulze ricorda con una certa nota malinconica, che tutti potevano trovare un lavoro e studiare, tutti potevano andare all’Università ed esser certi che l’Università avrebbe poi trovato loro un lavoro. Lui stesso, terminati gli studi di lettere classiche all’Università di Jena, ebbe l’incarico di direttore culturale del Teatro di Stato di Altenburg. Con l’apertura delle frontiere della Germania Est e la caduta della repubblica filocomunista, tutto sarà diverso, paradossalmente la vita dei cittadini della ex DDR subirà un peggioramento, il denaro e il mercato la faranno da padrone.
Non è risparmiata tra le righe una forte critica al ruolo della letteratura e della cultura, spesso foriere di propaganda e non intellettualmente oneste, come spetterebbe loro. Per Schulze, la letteratura e ogni forma d’arte dovrebbero con forza “mettere in discussione” le “cose che consideriamo normali” e che forse non lo sono per nulla, se solo ci fermassimo a riflettere che oltre la soglia delle superaccessoriate dimore borghesi: “regna la miseria più totale e la gente muore”.

Ma sollevare un qualche dubbio, per un tedesco dell’ex DDR, sulla nuova realtà fatta di “libertà”, ha come conseguenza l’essere considerato un “inguaribile passatista”. L’unica alternativa possibile e desiderabile sembra essere quella all’insegna del capitale.
Contro questa cecità collettiva, questa ignavia culturale e sociale, Shulze si batte in tutti i suoi scritti.
Il bisogno dei consumi oggi è proposto, e poi confezionato per diventare l’oggetto del desiderio comune. E, così, inondati dall’onnipresente allegrezza di un positività di facciata, fallimenti, sbagli e umani cedimenti alla malinconia del passato sono severamente banditi, per evitare di minacciare e destabilizzare l’equilibrio (soprattutto economico) di questa lobby felice e contenta.

L’insaziabilità è uno degli aspetti chiave che rende i consumi la merce perfetta per un mercato che prospera sugli affanni dell’uomo medio, e che lega strettamente la sete di benessere con la voracità del consumismo e l’ingordigia del mercato.
Negli scritti di Schulze vi è un appello alla presa di coscienza collettiva dell’assurdità di perseguire a ogni costo una felicità che si riduce appena a quella dei mobilifici.

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