Recensione: “La delinquenza nella Rivoluzione francese” – Un’oscura rivolta all’ombra della ghigliottina
La delinquenza nella Rivoluzione francese
Cesare Lombroso
Aragno Editore
“Quando non ebbero più aristocratici né nemici politici da scannare, i Settembristi scannarono dei ladri comuni e quando non ebbero nemmeno più questi giunsero a freddare i poveri ammalati di Bicêtre e della Salpetrière; violando prima, e dopo uccise, delle prostitute e, orribile a dirsi, delle impuberi orfanelle che giacevano nei dormitoi, e quando il ferro, il foco non bastava giunsero agli annegamenti in massa ed alla mitraglia”.
Cesare Lombroso con la sua prosa irritante e caustica tiene una conferenza, nel 1897 a Firenze, su La delinquenza nella Rivoluzione francese.
Lo studioso ribalta l’idealizzazione del pensiero comune. La sua conferenza tende a somigliare via via a un racconto del terrore di Edgar Allan Poe:
“il tipo che fuse in sé i caratteri del pazzo e del criminale… era alto cinque piedi, aveva una testa enorme, in sproporzione col corpo, assimetrica, la fronte sfuggente, l’occhio obliquo, gli zigomi voluminosi; lo sguardo torbido e irrequieto; il gesto rapido e a scatti; il volto in contrazione perpetua; i capelli neri e untuosi, sempre arruffati; nel camminare saltellava”.
Questa presenza che si impone con prepotenza nella storia è Marat.
“Medicastro, mal retribuito, di corte, nel passaggio dalla vita di studi all’azione, dal disprezzo a un poter sconfinato, da mattoide diventa monomane ed omicida”.
Lo stile del Lombroso sembra divenire gotico. Le tematiche salienti delle sue dissertazioni, infatti, esplorano la morte fisica e morale in ogni suo aspetto. Si riscontrano i segni esteriori del decesso, ma anche gli effetti della decomposizione dello spirito, degli ideali. Il delitto in ogni sua sfaccettatura.
Liberté Égalité Fraternité, sì certo, ma tutto il significato di questa grande sommossa che fu la rivoluzione in Francia esplode nella chiusa: ou la mort.
La contraddizione diviene la norma dei rivoltosi: “Mentre proclamavano che nessuno sarebbe stato condannato senza una sentenza di tribunale, essi lasciavano scannare, anzi colle proprie mani scannavano, centinaia di detenuti, auspice e complice lo stesso ministro della giustizia Danton. Mentre proclaman la libertà del pensiero, fanno ghigliottinare, auspice Robespierre, chi ricusava di adorare il loro Ente supremo”.
Da questa oscura “rivolta”, come la rinomina Lombroso, nasce l’Occidente moderno. In uno scenario fatto di sete di vendetta con sullo sfondo l’ombra altissima della ghigliottina.
Ai piedi di questa manciata di rivoltosi, la folla. La folla con tutte le sue paure, inebedita dalle belle parole, perchè come sottolinea sarcasticamente Lombroso, la “passione della parola che ha un’azione in Francia più ancor che nelle altre razze latine… che fa preferire alle teorie giuste, le frasi ben dette”.
Ammaliati, sedotti, lusingati, i singoli dubbiosi diventano folla cieca e urlante: “Quando la folla è ridotta in questo stato e non le basta più uccidere, ma vuole che la morte sia accompagnata dai più atroci supplizi e dagli scherni più orrendi,( …) la folla accresce la turpitudine dell’assassinio colle offese contro il pudore, e questa oscena follia di libidine e di sangue trova talvolta nel cannibalismo l’ultimo grado del parossismo”.
Un ritratto agghiacciante che Lombroso tratteggia con un chiaroscuro violento e impetuso.
Questa analisi sul linguaggio è la parte più affascinante del discorso del Lombroso, perchè è un cortocircuito delle sue teorie. La prosa stessa dello psicologo è ammaliatrice e suadente, barocca, traboccante, ricercata e magnetica, a volte al limite della satira, capace di penetrare nell’immaginario degli ascoltatori e di solleticare le più profonde emozioni istintuali.
Il tema del linguaggio lo si ritrova anche nel saggio l’Uomo delinquente, dove Lombroso riflette sul ruolo della letteratura, che può risultare utile o dannosa, mai soltanto divertente. In Italia ad esempio considera negativi i libri osceni di Ovidio, Petronio e Apuleio, così come la letteratura processuale contemporanea: tutti testi molto letti e altrettanto per lui pericolosi. Sottolinea inoltre come i delinquenti, e in particolare i carcerati, sono spesso scrittori, compongono con una forza ed una eloquenza straordinaria.
La rivoluzione francese dunque per Lombroso è solo una rivolta, messa su da pochi che alimentando le folle con la giusta eloquenza, hanno con un delitto politico, preso il potere. La riuscita di tale progetto criminale si deve alle caratteristiche delle masse, al loro essere inclini al “misoneismo”, cioè a quell’atteggiamento di avversione verso ogni novità, soprattutto nel campo politico e sociale.
Il fascino delle teorie Lombrosiane, al di là della controversa valenza scientifica, e a dispetto dei lunghi anni d’oblio e soprattutto dell’ironia di cui la figura e l’opera di Cesare Lombroso è stata vittima nel corso del XX secolo, è senza dubbio potente.
Tornare a riflettere su alcuni passaggi, tuttavia, contestualizzando storicamente lo studioso, potrebbe giovare a una miglior comprensione storica del mondo moderno, facendo luce anche su alcuni nodi irrisolti della nostra identità culturale e nazionale.