Recensione: "La danza della parola", l'ironia come arma civile

Recensione: “La danza della parola”, l’ironia come arma civile

La danza della parola di Giullio Giorello, edita da Mondadori, come recita il sottotitolo, parla d’ironia “come arma civile per combattere schemi e dogmatismi”.Recensione: "La danza della parola", l'ironia come arma civile Recensione: "La danza della parola", l'ironia come arma civile

Una ironia che ci permette di rispondere in modo creativo alla vita: ci inonda di possibilità e prospettive che prima non avevamo nemmeno considerato, allarga gli orizzonti. E in quell’abbondanza, poi, accostando un silenzio contemplativo alla risata, possiamo anche trovare le direzioni ideali.

Dovremmo capire quindi come attraverso l’ironia possiamo difenderci dal pericoloso dogmatismo dell’immediato che è appunto quello dei nostri politici, i quali, secondo l’autore, “non concepiscono che ci sia qualcosa come l’ironia”.

Già Leopardi, nel suo “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani”, capolavoro della letteratura italiana, ci era arrivato per intuizione: “il più savio partito è quello di ridere indistintamente d’ogni cosa e d’ognuno, incominciando da se medesimo”. Vale a dire: non c’è cosa più saggia che ridere di tutto e di tutti, soprattutto di se stessi.

L’ironia, può divenire un ottimo antidoto alla violenza verbale e alla violenza in generale.

Nell’arte, nella letteratura, nel teatro, nella comunicazione, l’ironia è sempre stata una via privilegiata per esercitare la critica sociale. Già Aristofane nell’Atene del V secolo, metteva alla berlina politici e istituzioni della sua città deridendoli magistralmente sulla scena.

L’ironia diviene la coscienza critica che ci impedisce di restare chiusi nei dati di fatto della vita, di idolatrare i fenomeni, cui occorre certo dare peso, ma solo alla luce della consapevolezza della loro insufficienza a racchiudere una volta per tutte la ricchezza di significato della soggettività.

L’ironia come stato d’animo sconfina così in una superiore forma di saggezza che ci insegna a vivere nel mondo senza tuttavia rimanervi impaniati. E in questo volto bonario che l’ironia diviene il viatico in nome del quale l’uomo può attraversare la vita senza disgustarsi della ripetitività delle sue forme e della vuotezza delle manifestazioni.

Ottimi esempi di ironia li ritroviamo nei fumetti, questa deliziosa miscela di immagini e parole. Da Topolino a Paperino, fino ad arrivare al più insospettabile Tex Willer, l’ironia saltella pungente tra gli scambi di battute, il fumetto è territorio ironico per eccellenza.

Come non essere d’accordo se solo si va con la memoria a ripercorrere le strisce di Charlie Brown?

“Ridi che ti passa” era una espressione ricorrente negli anni passati. L’ironia era una ricchezza, a volte l’univa via da imboccare per rendere sopportabile una vita al limite dell’invivibile.

Oggi negli anni della diffusa agiatezza, sembra essere una risorsa esaurita.

Una delle domande che sorgono spontanee, se ciò dovesse essere vero è: si può ripristinare l’ironia?

Il termine deriva dal greco antico e significa, letteralmente, falsità.

Dal vocabolario della lingua italiana si apprende che è una

“Figura retorica che consiste nel dire il contrario di ciò che si pensa.”

E’ chiaro che l’intento è di far comprendere proprio ciò che non si è detto. In modo che il concetto sia maggiormente sottolineato.

Per fare dell’ironia quindi bisogna possedere una certa padronanza di linguaggio in senso lato. E quindi la cultura è essenziale, una cultura ristretta, restringe le regole del gioco.

Quindi per ripristinare l’ironia occorre ripristinare il pensiero. La nostra società sembra ingarbugliata in schemi e categorie molto rigide, l’ironia può combattere questa rigidità, riprendendo le fila della creatività e dell’illuminismo come modello coraggioso di ricerca e crescita.

Nella cronaca quotidiana del nostro Paese di ironia se ne trova davvero poca. Forse c’è traccia di sarcasmo o violenze verbali ma, non di ironia. Il motivo è che essa deve essere esercitata non soltanto sugli altri, ma anche su se stessi, bisogna avere il coraggio di essere autoironici. Cosa che oggi è un’attitudine rara.

Sottolinea Giorello:

“Se poi si guarda alle dichiarazioni dei politici l’ironia manca completamente. La politica rende pesante la parola mentre la parola dovrebbe essere libera di danzare. (…) L’ironia richiede anche uno sforzo sia di chi la fa sia di chi la legge. Richiede un momento di meditazione che nella comunicazione politica immediata viene perduto. Questo si capisce bene anche da certe dichiarazioni altisonanti di politici che occupano posti di responsabilità e che insistono con slogan che sono il contrario dell’ironia. (…) L’ironia è quanto di più lontano ci sia dagli slogan propagandistici. Il punto è che il discorso politico tende a semplificare perché un discorso strutturalmente semplice è più comprensibile. I politici bruciano le differenze, quell’elemento di differenza che è così importante nel valutare le azioni e le parole di coloro che ci circondano”.

Giulio Giorello, titolare della cattedra di Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano, è nato in questa città il 14 maggio 1945. Si è laureato in filosofia nel 1968 e in matematica nel 1971. Ha insegnato in facoltà di Ingegneria (Pavia), Lettere e filosofia (Milano), Scienze (Catania), nonché al Politecnico di Milano e allo iuav di Venezia. Collabora con il «Corriere della Sera» e dirige presso l’editore Raffaello Cortina di Milano la collana Scienze e idee.

Il punto centrale delle sue riflessioni è l’intreccio tra crescita della scienza e libertà intellettuale e civile; in questa prospettiva ha curato insieme con Marco Mondadori un’edizione italiana del saggio Sulla libertà di John Stuart Mill (il Saggiatore, 1981).

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