Recensione: La cripta di Venezia – Una città sotterranea che sgomenta e affascina
La cripta di Venezia
di Matteo Strukul
Newton Compton
Classe 1973, padovano doc, laureato in Giurisprudenza ma da anni romanziere a tempo pieno, con i suoi venti e passa romanzi all’attivo, pubblicati in una quarantina di nazioni, molto probabilmente Matteo Strukul non ha bisogno di presentazioni presso l’affollata e famelica comunità degli appassionati di romanzi storici d’avventura.
Alcune tracce, però, è doveroso fornirle, se non altro per sottolineare il tumultuoso percorso culturale e letterario che ha portato il vulcanico autore padovano fino alla maleodorante e claustrofobica sotterraneità della Venezia settecentesca narrata nel romanzo qui commentato. Un percorso che parte dal pulp noir allo stato puro (quello, per intenderci, alla Quentin Tarantino) della trilogia di Mila Zago (La ballata di Mila; Regina nera. La giustizia di Mila; Cucciolo d’uomo. La promessa di Mila – 2011/2013), per approdare al più raffinato e (sul piano documentale) esigente genere del romanzo storico d’avventura. Quello che ha consacrato Alexandre Dumas, tanto per fare un nome a caso. Quello che ha portato Arturo Pérez Reverte a fregiarsi del titolo di membro della Real Academia della Lingua spagnola (titolo che viene concesso assai raramente a scrittori viventi).
Genere nel quale Strukul ha conosciuto il successo e ricevuto un riconoscimento a livello mondiale con la tetralogia sui Medici (Una dinastia al potere; Un uomo al potere; Una regina al potere; Decadenza di una famiglia – 2016/2017).
E – scusate se è poco – proprio con il primo romanzo sui Medici l’autore padovano ha vinto il Premio Bancarella 2017.
Ma, nel corso della navigazione letteraria che lo ha portato ad approdare stabilmente – e definitivamente, per sua espressa ammissione – al genere del romanzo storico d’avventura, Strukul si è concesso scorribande nel fumetto (cinque albi al suo attivo), nel mondo della traduzione, nelle biografie musicali, mostrando una voracità e una curiosità culturali fuori del comune.
Consentitemi allora di segnalare che Matteo Strukul ha, con Il cavaliere elettrico. Viaggio romantico nella musica di Massimo Bubola (Meridiano Zero – 2008) l’indubbio merito di averci ricordato che Bubola è stato per lungo tempo indispensabile braccio destro di Fabrizio De André nella scrittura di canzoni memorabili, e autore di capolavori come Il cielo d’Irlanda e I treni a vapore, affidati alla voce di Fiorella Mannoia. Scusate la digressione, ma era il minimo che dovevo al non da tutti conosciuto Massimo Bubola.
Fuori del comune è l’ampiezza dello sguardo del romanziere Strukul nelle ambientazioni, nelle sceneggiature. Ampiezza che non riguarda solo le epoche (Rinascimento, Settecento) e i luoghi (Firenze, Venezia), ma anche e soprattutto i personaggi. Perché l’autore padovano si è ripetutamente concesso l’ardire – temerario, se non fosse per l’abilità e la capacità di documentarsi scrupolosamente – di gettare a man bassa e senza timore reverenziale nei suoi romanzi personaggi illustri che hanno fatto la storia dell’arte italiana. L’elenco è lungo: Caravaggio, Giacomo Casanova, come già accennato i Medici, Michelangelo Buonarroti, Paolo e Francesca, nonché il loro sommo cantore Dante Alighieri, Andrea Palladio, Carlo Goldoni, Giotto, persino quella illustre tapina della Monaca di Monza.
Fino ad arrivare – in una sorta di definitivo ritorno a casa, nella contigua Venezia – al più illustre vedutista veneziano: Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto (1697 – 1768).
Proprio il Canaletto, in veste di appassionato detective dilettante, è il protagonista di quella che sino ad oggi rappresenta una trilogia e di cui La cripta di Venezia è il terzo capitolo (i precedenti: Il cimitero di Venezia – 2022 e Il ponte dei delitti di Venezia – 2023).
Ho detto: sino ad oggi, perché lo stesso papà del detective Canaletto non esclude che la saga continui e possa diventare, per la gioia degli aficionados, una vera e propria serie, così da poter collocare il settecentesco detective della Serenissima a fianco di illustri predecessori, quali il capitano Diego Alatriste di Arturo Pérez Reverte o il Pepe Carvalho di Manuel Vàzquez Montalbàn.
Mi piace affiancare il protagonista di La cripta di Venezia ai due eroi usciti dalle penne e dalla fantasia di due autori spagnoli che metto in cima alla graduatoria delle mie più che soggettive e discutibili preferenze letterarie. Nessuno dei tre somiglia agli altri due, ma hanno una spiccata caratteristica in comune: si fanno voler bene. Diventano famigliari.
È proprio degna del titolo del libro la Venezia che Strukul ci consegna e affida alla sagacia indagatrice del protagonista: criptica. Perché è nell’oscurità reumatica e maleodorante delle cripte di chiese veneziane che avvengono gli efferati omicidi narrati da Strukul e indagati dal Canaletto e dai suoi inseparabili amici. Sì, perché il celebre pittore e detective amatoriale si avvale dell’aiuto di due inseparabili amici e compagni anche di bevute: Owen McSwiney, impresario teatrale irlandese, e Joseph Smith, mercante d’arte e collezionista inglese. Una sorta di tre moschettieri dell’investigazione, sprovvisti di spade ma forniti di acume e infinita curiosità.
Questa volta i tre devono investigare e documentarsi nel campo nientemeno che del vampirismo, e in particolare di quella figura mitologica legata al vampirismo e alle pestilenze che va sotto il nome di Nachzehrer e che Strukul traduce in Masticatore di morte. Altro dirvi non vo’, per lasciare che scopriate da soli gli ingredienti di questo ben riuscito piatto letterario.
Ma non posso esimermi dall’esternare e condividere una sensazione che l’ottimo Strukul è riuscito a far vivere in me durante l’intera lettura dello scorrevole romanzo: quella di aver vissuto per qualche giorno in una Venezia del tutto sconosciuta ai turisti. Più precisamente: di aver vissuto a una decina di metri sotto i piedi frettolosi e svagati della folla multicolore e multiodore che quotidianamente violenta e deturpa Venezia, per essere avvolto dai miasmi e dal silenzio, rotto soltanto dal muoversi lento delle acque, di una città sotterranea che al contempo sgomenta e affascina.
Chi ricorda la Parigi maleodorante e infida di Patrick Süskind ne Il Profumo (TEA – 1988)?
Ecco, Matteo Strukul ha fatto la stessa operazione a casa nostra, consegnandoci una Venezia che resta profondamente nell’anima e che non si vorrebbe, per nessuna ragione al mondo, consegnare alla superficialità delle scarpe da running dei turisti.
Buona immersione.