Recensione: "L' ultimo gioco di Banu" - Il velo sulla ciotola Recensione: "L' ultimo gioco di Banu" - Il velo sulla ciotola

Recensione: “L’ ultimo gioco di Banu” – Il velo sulla ciotola

Recensione: "L' ultimo gioco di Banu" - Il velo sulla ciotola Recensione: "L' ultimo gioco di Banu" - Il velo sulla ciotolaL’ ultimo gioco di Banu
di Belgheis Soleymani
Traduzione di Faezeh Mardani
Francesco Brioschi Editore

Non è un gioco, stiamo leggendo della vita vera. È quell’attimo in cui “giocare” in un modo o in un altro ci nutre, ci sospinge, ci mostra il passaggio segreto, il nascondiglio, la via della fuga.

Per Gol-Banu, la via di fuga è fatta di parole stampate, tutte quelle che riesce a memorizzare, assorbire, metabolizzare.
Chi è Banu? “Mio padre è morto e mia madre lavora al cimitero, lava i morti”, dice di sé.

Ma Banu è molto di più, è l’anima femminile dell’Iran degli anni ottanta, un mondo complesso, contraddittorio, meraviglioso e allo stesso tempo inquietante. Un universo di colori, profumi, sapori ai quali si mescolano ideali e identità diverse tra di loro alla ricerca di pace e stabilità in focolai di disordini interni.

Banu è la sintesi di questioni profonde e intricate, spesso poco comprensibili a noi occidentali, quali l’imposizione del velo, l’identità religiosa, la lotta quotidiana delle donne per le libertà, la ricerca di un equilibrio tra antiche e radicate tradizioni e i diritti civili.

Gol-Banu è il Velo. Banu indossa il velo così come mia nonna velava la ciotola che conteneva pasta di pane per farla lievitare. Per lei mettere il velo aumenta l’azione e il sentimento.
Appartiene col velo tutta a se stessa, trattenuta e intensa, e nel giusto modo “distante”.
C’è un lievito potente in quel posto chiamato anima, stando dietro il velo avviene una straordinaria fermentazione, visti da dietro il velo tutti gli altri esseri umani paiono svanire.

Per capire Banu bisogna addentrarsi in diverse trame, fatte di fili intrecciati intorno al tempo che scorre. Punti di vista molteplici, voci interiori che si alternano e che raccontano la stessa storia con parole differenti. Lei, sua madre, gli uomini che l’hanno amata o che hanno “giocato” con lei.

Il cugino a cui la tradizione la vorrebbe sposa, l’insegnante sognatore con cui intreccia una relazione sentimentale, il ricco maturo signore che la “compra” da sua madre solo per avere un figlio da lei.

“Tu mi hai scelto perché non hai avuto figli con la tua prima moglie, – sono le parole di Gol-Banu a suo marito, il ricco maturo signore Rahami – perché ero una ragazza povera, perché ero bella, intelligente, perché potevi avermi a poco prezzo, perché mostrandoti generoso e magnanimo la gente ti avrebbe ammirato. La guerra che attendevo da tempo è iniziata. Lo scontro preannunciato dal primo giorno ora deve continuare fino alla resa completa di uno dei due, oppure fino ad arrivare al tavolo delle trattative»

E intanto Banu gioca, tira il dado e avanza di casella in casella, stringe a sé solo i suoi amati libri, primo tra tutti “Il Pesciolino Nero” una fiaba “nuova” dello scrittore Samad Behrangi, trovato annegato in circostanze oscure nel fiume Arasse, in Azerbaigian, a soli ventinove anni.
La storia del piccolo pesce che abbandona la madre e il ruscello dov’è nato per andare a scoprire il mare, con tutti gli incontri, i pericoli, e le riflessioni che ne seguono, è un delicato racconto di formazione, partorito dal ventre di quella terra difficile e profonda.

Una storia che diviene metafora della vita di Banu, una vita particolarmente problematica e complessa, vissuta nell’Iran moderno.
La vita di Banu, fatta di lunghe ere di solitudine, per favorire la conversazione fra lei e l’anima. Perchè da tempi immemorabili lo scopo di star soli è porsi domande e quello dell’anima dare consigli.
-Lo ami?
-Penso di sì.
-Non lo ami, ti sei affezionata a lui perché ti ha salvato dalla povertà e dalla solitudine. Hai paura che parta e non torni più, come Said, hai paura di essere di nuovo abbandonata.
-Forse è così, non lo so.
L’interrogatorio mentale di Banu, con la coperta tirata su per la testa, ne mostra tutta la fragilità.

E tutta la forza, la forza di chi si aggrappa disperato a qualsiasi appiglio perché bisogna sopravvivere e prevedere ogni mossa del destino. Un destino che Gol-Banu sfida ogni giorno, armata solo delle innumerevoli citazioni letterarie di cui il racconto è costellato. Come stelle per naviganti in una notte di velluto, che Banu interroga con l’astrolabio dei suoi sogni.

E noi con lei, in questa difficile lettura dove siamo chiamati a capire, distinguere, riconoscere la verità tra le tante versioni proposte. Amare Banu, oppure no. Essere dalla sua parte, o giudicarla colpevole. Perdonare le sue debolezze, o condannarla. Giocare con lei o lasciare che sia lei a farlo con noi, perché alla fine, in un sottile gioco di seduzione, restiamo impigliati nel panneggio del suo velo e affabulati dall’essenza del suo estro femminile, in quella sua antica concezione sacrale, imbevuto di un agrodolce potere salvifico. L’Eterno Femminino, quello, per intenderci, introdotto da Goethe nel finale del suo monumentale Faust.

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