Recensione: “L’Italia selvatica”, misteriose e affascinanti storie di animali
“Stanno tornando”.
Così scrive l’autore.
Coloro che ritornano sono creature selvatiche arrivate in Italia, a un passo dall’estinzione.
Esiste in noi esseri viventi un istinto a tornare, a raggiungere il posto che ricordiamo. é la capacità di ritrovare, nell’oscurità o nella luce piena, la propria casa. Sappiamo come tornare a casa. Anche se è passato molto tempo ritroviamo la via.
Attraverso racconti e storie che hanno profumo di fiaba e mito, pur essendo reali, l’autore ci offre ne L’Italia selvatica un sapere e una comprensione capaci di trarre insegnamento e di riprendere un dialogo con la natura.
Le tracce da seguire sono quelle del sè innato e selvaggio.
A volte la natura selvaggia ha la peggio scontrandosi con il mondo “civile”. Ad esempio è il caso dell’orsa KJ2, orsa problematica, che aggredisce a morsi e zampate almeno tre persone in tre differenti occasioni. In compagnia dei suoi cuccioli, probabilmente la sua aggressività è associata a un istinto di protezione nei loro confronti. Ma tuttavia si decide di abbatterla, così in un giorno d’agosto del 2017, sulle pendici del monte Bondone, viene eseguita la sentenza. I suoi due cuccioli che fine faranno?
Miglior sorte spetta a Peppina, orsa abruzzese, sempre in cerca di emozioni. Nel 2015 viene filmata sul tetto di un bar a Rocca Pia. Nel 2016 si concede a un grosso maschio in pieno giorno, a 100 metri dalla strada sotto gli occhi curiosi e meravigliati dei passanti. “Lunga vita a lei e alla sua discendenza” le augura il Nathional Geographic che le dedica un articolo soprannominandola ”coraggiosa pioniera”.
Creatura schiva e prudente è invece lo sciacallo dorato, presente nel nostro paese in una cinquantina di esemplari, ma altri ne stanno arrivando dalla Slovenia. Li vedremo sfrecciare minuti e agili a caccia di topi e li sentiremo ululare, un pò malinconici, al tramonto del sole. Malinconici sì, perchè secondo Wikipedia i loro vocalizzi sono “simili a quelli del cane, ma più malinconici”.
Animale intorno a cui da sempre sono fiorite storie fantastiche, è il lupo. Nel corso dei secoli è stato cacciato per difendere gli animali da pascolo ma anche per ricavare dal suo corpo preziosi amuleti. Nel 2018 a Monterotondo, al crocevia tra Grosseto e Livorno, ua carcassa di lupo scuoiata e crocefissa a testa in giù era appesa ai segnali straali. Era “lavoro” di un bracconiere. Da sempre in lotta con i lupi, colpevoli secondo loro di predare negli allevamenti di pecore e fare concorrenza ai cacciatori… Il colpevole è stato individuato e sarà punito secondo la legge. La nostra terra offre sicuramente una possibilità per stabilire un equilibrio tra le attvità umane e la vita degli animali selvatici senza tornare a barbarie da medioevo.
La forza del lupo e la potenza del branco consentiranno loro di tornare in territori che si sono popolati di cervi, caprioli, camosci, lepri, cinghiali, e continueranno ad alimentare storie fantastiche miste di amore e odio.
Protagonista di miti e leggende è anche il cinghiale, e anche la sua presenza massiccia e il suo contenimento numerico sono argomento di animate discussioni tra animalisti e allevatori.
Uno dei miti più affascinanti che vede il cinghiale come protagonista è legato a Venere e Adone.
Adone era un abile cacciatore, e Venere lo accompagnava nelle battute di caccia. La dea tuttavia esortava più volte Adone a essere prudente. Adone non le diede però ascolto. I suoi cani seguirono le impronte di un cinghiale che, una volta colpito da un giavellotto scagliato da Adone, riuscì a liberarsi della lancia e a inseguire il cacciatore. Raggiuntolo, gli conficcò i denti nell’inguine.
Venere accorse alle urla dell’amato. Lo vide esanime e formulò allora una promessa: il ricordo del lutto sarebbe durato in eterno, e il sangue diventato un fiore, Adone fu quindi trasformato in un anemone, e dalle lacrime di Venere sbocciarono delle rose.
Ritroviamo in versi famosi anche la lince, lonza, persino nella Selva oscura infernale della Divina Commedia di Dante. Arrivata a un passo dall’estinzione in Italia, così coma la lontra e il castoro. Quest’ultimo scomparso da 5 secoli dai nostri territori, ora sembra essere tornato. Del caso se ne è occupato anche il National Geographic, sembra arrivato dall’Austria, ora si attende speranzosi che giunga una castora con cui potrà metter su famiglia e ripopolare il nostro Bel Paese.
Queste e tante altre storie sono narrate ne L’Italia selvatica, molte vissute in prima persona dall’autore, Daniele Zovi, esperto di foreste e di animali selvatici, nato a Roana (Vicenza) nel 1952.
Dopo la laurea in Scienze forestali conseguita all’Università di Padova nel 1975, è entrato nel Corpo Forestale dello Stato, dove ha esercitato le funzioni di Capo del Distretto di Asiago, di Comandante provinciale di Vicenza e di Comandante interregionale di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige.
Il suo libro ci accompagna in uno straordinario viaggio, dal fascino inaspettato, che tocca tutte le corde del nostro sentire, dalla tenerezza, alla paura. Ridisegna il nostro modo di guardare il mondo che ci circonda, alla ricerca di tracce leggere della presenza del selvativo.
Perchè il selvatico è più presente di quanto immaginiamo, è intorno e dentro di noi, misterioso e affascinante. Incute timore e attrazione contemporaneamente, forse per quel senso di libertà a cui tutti aneliamo.
L’Italia selvatica che sembrava perduta, ora sembra esser stata ritrovata. Dovremmo combattere per trattenerla per sempre, perchè la vita fiorisca, si ristabiliscano i cicli e le leggi della natura per la crescita e la prosperità.
Il termine selvatico, non dovrebbe essere più usato nell’accezione negativa di incontrollato, ma nel suo senso originario che significa vivere una vita naturale in cui ogni creatura ha la sua integrità innata e i suoi confini.