Recensione: “Il mio primo dizionario dei Videogiochi cult”- Alieni verdi, cinema e metaversi
Alzi la mano chi alla parola “videogioco” pensa subito a Pac-Man. Immagino già la quantità di mani al cielo. Impossibile non avere un’immediata identificazione con un personaggio indissolubilmente legato al mondo del gaming eppure così penetrante nella cultura pop di tutta la società.
Ma i videogiochi non erano roba da nerd? Paradossalmente a sdoganare i videogames sono state proprio le sale giochi, che hanno segnato la socializzazione di intere generazioni di adolescenti e non solo. E proprio Pac-Man avrà un ruolo importantissimo: sarà il primo videogioco a essere pensato come puccioso grimaldello per far entrare in quell’ambiente, le sale giochi appunto, anche le ragazze. Fino a quel momento, gli arcade games erano territorio esclusivo dei maschi, con appendici maleodoranti, tra tutte gli ormoni degli adolescenti.
E pensare che per il primo cabinato di successo, Space Invaders, ci è voluto un mezzo genio, Tomohiro Nishikado, ingegnere che non ha solo progettato e scritto il gioco, ma persino l’intero hardware che l’accompagnava.
Ma quante ne sai! vi sento affermare stupiti mentre leggete queste righe. Il merito non è mio, ma della lettura di Il mio primo dizionario dei Videogiochi cult (BeccoGiallo), nel quale Luca Bagnasco e Andrea Stella hanno raccolto le schede di 25 videogames, scegliendone tra i più significativi e catalogandoli con una precisa struttura. Per ogni gioco, infatti, sono presenti cinque sezioni: Tutorial, ovvero storia, persone ed eventi che hanno portato alla nascita del gioco, Lore, approfondimento su trama, universo e riferimenti, Gameplay, ovvero le dinamiche del gioco, Eredità e relative influenze sul futuro e Fun Facts, cioè curiosità di vario genere.
Bagnasco e Stella hanno due percorsi di formazione differenti, ma con un punto in comune: il cinema. E non è un caso che abbiano scritto questo libro insieme, perché videogiochi e cinema hanno incrociato ben presto le loro strade. Se i primi games erano, infatti, minimali e pionieristici (anche se maledettamente divertenti!), la loro evoluzione ne ha segnato l’esponenziale aumento della complessità, poiché è emersa sempre più prepotente l’importanza di una storia che accompagnasse le vicende ludiche. Il primo vero passo in avanti in tal senso sono state le adventures, prima testuali e poi più compiutamente grafiche.
Non per nulla a simboleggiare questo passaggio c’è un caposaldo come The Secret of Monkey Island, pubblicato dalla Lucasfilm Games (in seguito LucasArts), una casa di produzione cinematografica che si fa software house. Già, perché i giochi acquisiranno nel tempo una struttura narrativa tale da richiedere una vera e propria sceneggiatura e ben presto anche budget paragonabili a qualche film di Hollywood.
Con l’avvento della PlayStation, la prima console in grado di maneggiare con agilità il 3D, questo parallelo con il cinema si fa ancor più evidente, al punto che Metal Gear Solid abbia molto in comune con i film di genere e che ci si possa avventurare in uno pseudo-messaggio femminista realizzando un’eroina dei videogames come Lara Croft.
Non può mancare, infine, un classico dei tempi attuali come Fortnite, primo vero esempio con Minecraft di metaverso (tralasciando il fallimentare Second Life, ovviamente). Leggerne la scheda in Il mio primo dizionario dei Videogiochi cult sarà divertente per chi già lo conosce e una vera scoperta per chi non l’ha mai conosciuto. Chissà, forse questo libro così accurato e accompagnato dalle splendide illustrazioni di Tommaso Calzavara, potrà costituire un ponte tra qualche boomer “illuminato” e i giovani gamer.