Recensione: “Il guardiano” – Quando la solitudine diventa alienazione
Il guardiano
di Peter Terrin
Traduzione di Claudia Cozzi
Edizioni Iperborea
Harry e Michel, due guardiani in un garage sotterraneo di un lussuoso condominio, una mosca, uno spazzolino da denti, una pistola “Flock 28” e il rumore dello sciacquone del bagno che perde. Che cosa può legare tutto questo? Quali ne sono le affinità materiali e reali? Per buona parte del libro, questo a prima vista non appare chiaro ma, a una lettura più attenta, tutto diventa più evidente perché lo scrittore ci mette davanti a una realtà lampante: il legame tra tutto questo è inequivocabile.
La “Flock 28” che i due guardiani non lasciano mai e controllano ossessivamente e continuamente, è il punto tangibile e fulcro del racconto. Il loro unico scopo è di proteggere i ricchissimi residenti del condominio e le loro costosissime Cadillac, Chevrolet, Chrysler e via discorrendo. Proteggere da chi? Questo rimane un mistero perché il condominio è blindatissimo e inaccessibile e da un tempo non quantificabile, Harry e Michel non incontrano anima viva se non il fattorino con i rifornimenti sempre più scarsi. Ma, in caso di pericolo, la loro inseparabile” Flock28” è pronta a sparare.
Un altro quesito che risulta irrisolto è chi sia questa fatiscente “Organizzazione” da cui Harry e Michel dipendono e a cui dedicano una dedizione, quasi disumana e che sembra, in un momento così tragico, si sia dimenticata di loro. Forse vuole mettere alla prova la loro efficienza in situazioni di estremo pericolo?
Il loro isolamento e i gesti ripetitivi e sempre uguali, li porta a un’alienazione talmente profonda tanto da mettere in pericolo la loro tenuta psicologica, così che la caccia a una “mosca”, entrata chissà come, che lo scrittore descrive con una ricchezza straordinaria di particolari, diventa quasi “una liberazione”. Questo li distoglie dal non sapere cosa sta succedendo all’esterno: una guerra, un’epidemia, un’esplosione nucleare?
Acuta e circostanziata è la descrizione dello spazzolino da denti, che diventa quasi un essere animato, e che da amico utile e indispensabile è ormai consunto e irriconoscibile, quasi sofferente. E, nello stesso modo, nel silenzio totale e il buio assoluto, anche il rumore dello sciacquone e lo sgocciolio del gabinetto, possono essere un conforto.
Peter Terrin è incredibilmente bravo a descrivere senza mai nominarli, la paura e l’abbandono che s’impadroniscono di Harry e Michel, perché realizzano che, quando tutti i residenti del condominio meno uno se ne vanno, loro moriranno dimenticati dal mondo esterno ma soprattutto dalla loro “Organizzazione”.
Peter Terrin, scrittore oltre di racconti, anche di opere teatrali ci porta, seduti su immaginarie poltrone rosse, davanti a un grande palcoscenico, con spazi limitati, chiusi e fatto di lunghissime attese e dialoghi ripetuti fino all’ossessione, ossessione che diventa il grande motore trainante de “Il Guardiano”.
Pur in un contesto a volte non perfettamente decifrabile tra il thriller, la fantascienza, e il romanzo psicologico, l’autore ci trasporta abilmente con uno stile essenziale e quasi chirurgico, in un mondo irreale fatto di suggestioni e paranoia, in un viaggio psicotico e allucinogeno in compagnia dei due protagonisti, un viaggio nella loro più intima interiorità in attesa di tornare al proprio destino di sempre.
Peter Terrin (nato a Tielt, Belgio il 3 ottobre 1968) è uno dei più importanti scrittori di lingua olandese. Oltre ad essere autore di romanzi, scrive per il teatro e come editorialista per la carta stampata. E’ stato candidato diverse volte a importanti premi letterari e vincitore del premio dell’Unione europea per la Letteratura 2010 e il premio AXO 2013.