Recensione: Il Cavo dell’onda – Ritornare sempre al punto di partenza
Non è un romanzo semplice Il Cavo dell’onda di Alice Rivaz, edito da Paginauno, (traduzione di Alberto Panaro).
In una Ginevra inaspettatamente imbiancata in primavera, la misteriosa signora Peter invita alcuni tra i residenti del suo vicinato a una manifestazione pacifista, lasciando di notte nelle cassette della posta, dei volantini privi di mittente.
È invitato anche un gruppo di dipendenti di un’azienda internazionale, tra i quali esistono rapporti confidenziali ma anche piuttosto complicati.
Ognuno di essi ha un mondo interiore differente dall’altro, ma Alice Rivaz con la sua penna piena di grazia, ne descriverà perfettamente turbamenti e leggerezze e attraverso il racconto di intrecci e relazioni, la loro umanità.
Il romanzo non decolla immediatamente, soprattutto per i lettori impetuosi che desiderino avere sin dall’inizio, materiale su cui fantasticare.
I protagonisti sono tanti e con scrittura sapiente e quasi distaccata Alice ci introduce nelle loro vite.
La neutralità dell’autrice è strategica perché nel corso del romanzo lascia che il lettore da solo, attivamente, si appassioni al materiale umano e al corso naturale delle interazioni tra gli individui che appaiono sotto i suoi occhi.
È discreta Alice Rivaz: non interviene mai nel dare forza ai personaggi, che ne hanno di propria, pregni di una verità ironica, fallace, miserabile, ma anche dignitosa, vitale.
L’amore e le relazioni sentimentali non sono il punto focale del romanzo, ma il fulcro intorno al quale questi protagonisti si ostinano, come tutti gli esseri umani a far ruotare la propria vita.
Più che un romanzo sull’amore, quello di Rivaz è un romanzo sul disamore perché ci fa comprendere con grande maestria, che spesso il sentimento da cui si parte quando si intrecciano delle relazioni, si basa sul tentativo maldestro e inconsapevole di colmare dei vuoti, delle mancanze.
La creatività perduta, l’individualità rinnegata, degenerano nell’ossessione amorosa per colui che non si riesce a possedere e quella sensazione di sofferenza, di aspettativa disattesa distrae e riempie la vita e le giornate di chi non riesce a guardare in faccia il proprio vuoto, rimandando infine la libertà di essere integro, completo, appagato.
Ognuno dei protagonisti recita un copione, quello che reputa gli appartenga, quello che crede sia il proprio destino.
Qualcuno riesce a smontarlo perché intuisce che quella neve in anticipo, rende bella la città, ma seppellisce la realtà del quotidiano, fatta di afflizioni, frustrazioni e scelte rimandate.
Qualcun altro invece pur vedendo, sceglie di spostare soltanto il protagonista delle proprie ossessioni, disamorandosi di qualcuno e innamorandosi di qualcun altro, in un loop mortifero che tanto riconduce alle particelle d’acqua nel cavo dell’onda che diventano cresta ma che, con il loro moto circolare, tendono sempre a ritornare al punto di partenza.