Recensione: “I Luoghi della cultura” - Storia e trasformazione Recensione: “I Luoghi della cultura” - Storia e trasformazione

Recensione: “I Luoghi della cultura” – Storia e trasformazione

Recensione: “I Luoghi della cultura” - Storia e trasformazione Recensione: “I Luoghi della cultura” - Storia e trasformazioneI luoghi della cultura
di Albertina Vittoria
Carocci editore
Collana
Studi storici

Il primo esplicito episodio della storia contemporanea in cui un uomo di cultura assunse una presa di posizione pubblica per difendere una causa fu il J’Accuse…! di Emile Zola”.

Questo è un passo significativo non solo nella storia ma anche nel libro di Albertina Vittoria, intitolato “I luoghi della cultura”.

Il libro ripercorre, con estremo rigore storico, le origini e le varie trasformazioni dei diversi luoghi di cultura, non solo complementari alle varie accademie, ma spesso, persino, alternativi.

Il lettore è portato a seguire il filo che ha visto il costituirsi di riviste, collane editoriali, associazioni, biblioteche, accademie, centri ed enti culturali e di ricerca e altro ancora e vedendone, a volte, nel corso del tempo, il cambio di natura e di intenti.

Centrale anche il ruolo degli editori.

In questo senso, una mia nota personale di apprezzamento va verso la rilegatura a filo, scelta e adottata per questa pubblicazione perché è principalmente ai luoghi della cultura che queste attenzioni di cura è bene siano rivolte.

Il rigore storico dell’autrice si vede anche nella suddivisione per periodi storici nella trattazione del tema: si parte dal primo Novecento per passare dal fascismo e dal secondo dopoguerra fino a concludersi con gli anni Sessanta e Settanta e alla costituzione del ministero per i Beni culturali e ambientali nel 1975, toccando, pertanto, anche il tema dei finanziamenti statali agli enti culturali.

Il passaggio tra fine Ottocento e inizio Novecento vede, infatti, la figura del letterato erudito di fine Ottocento trasformarsi sempre più in intellettuale partecipe in modo fattivo e attivo ai cambiamenti sociali.

Anche per questo la presa di posizione di Zola è emblematica e venivano visti con sufficienza gli intellettuali chiusi in quella che sarà poi denominata “la torre d’avorio”.

Due intellettuali, due amici e, nel tempo, sempre più divergenti, Croce e Gentile, rappresenteranno posizioni opposte sul ruolo della cultura e degli intellettuali. Per Croce un allargamento della filosofia ai “non addetti ai lavori” (espressione contemporanea e non presente nel libro) era espressione di dilettantismo e di perdita di valore culturale. Per Gentile, invece, la filosofia doveva farsi pubblica, viva, attiva, non potendo distinguere l’intellettuale dalla persona e dalla persona che agisce politicamente.

I dissidi iniziali si acuiranno con la diversa posizione nei confronti del fascismo e Croce sarà tra i pochi intellettuali a non partecipare all’Enciclopedia Italiana con editore Treccani e per la quale Gentile si adoperò per avere il contributo di tutti gli intellettuali.

In alcune riviste, ad esempio, “La Voce”, la questione dell’impegno intellettuale si risolse nella suddivisione tra “Voce bianca” (più letteraria) e “Voce gialla” più politica.

Durante il fascismo la dimensione di questi luoghi della cultura fu accentrata e volta alla propaganda, anche mediante il controllo della stampa e sovvenzione agli enti culturali più aderenti alle politiche.

Non mancarono, tuttavia, anche quegli esempi di “dissimulazione onesta”: intellettuali che, nei confronti del fascismo, fecero il doppio gioco partecipando alle riviste fasciste e compiendo un sotterraneo lavoro di opposizione nei confronti della cultura imperante reagendo, pertanto, a quello “sciocchezzaio trionfante” come fu definito.

Diverse le posizioni degli intellettuali anche riguardo l’interventismo in guerra attraverso i vari luoghi di cultura (riviste, biblioteche, associazioni) che ospitavano le loro idee.

Nella riorganizzazione del secondo dopoguerra si prendono le distanze da quel che il fascismo ha significato rigettando la concezione crociana di fenomeno contingente e limitato a un periodo in quanto nato “dalle viscere della nostra società”.

Per alcuni istituti nati sotto il fascismo furono nominati dei commissari straordinari fino alla ridefinizione stessa di tali istituti.

Non pochi furono gli istituti di nuova formazione negli anni Cinquanta e, tra essi, molti si inserivano in un filone più tradizionale di studio e di ricerca come poteva essere, un esempio fra tanti, la Domus mazziniana di Pisa.

Le analisi storiche sui luoghi della cultura presentati nel libro hanno il sotto testo implicito del ruolo dell’intellettuale, di quanto la cultura possa definirsi o meno distaccata e su quanto gli intellettuali possano incidere su una società in continuo mutamento.

Ad esempio, nella società industriale e di massa creatasi a inizio anni Settanta il dibattito sulle riviste verteva sul “cambiamento quantitativo e qualitativo del lavoro culturale”.

A queste interrogazioni Umbero Eco rispondeva che il problema non era se fosse “bene o male che ci sia la cultura di massa”; egli poneva ben altra argomentazione, infatti: “Dal momento che la presente situazione di una società industriale rende ineliminabile quel tipo di rapporto comunicativo, noto come insieme di mezzi di massa, quale azione culturale è possibile per far sì che questi mezzi di massa possano veicolare valori culturali?”.

Da valori culturali a “beni culturali” il passo è breve e fu una delle novità introdotte dal secondo dopoguerra. Fu proprio in virtù delle devastazioni che erano seguite al secondo conflitto mondiale e nella convinzione che “i danni arrecati ai beni culturali, a qualsiasi popolo essi appartengano, costituiscono danno al patrimonio culturale dell’umanità intera, poiché ogni popolo contribuisce alla cultura mondiale” che venne coniato il termine “bene culturale”.

Dalla Commissione Franceschini che nel 1964 introdusse il termine “bene culturale” in sostituzione di “cose di interesse storico, archeologico, artistico” si giunse, nel tempo, data la diversa portata assunta, fino al Ministero per i Beni culturali e ambientali (1975), quindi anche un portafoglio da assegnare.

Da qui, alla funzione pubblica dei beni culturali si giunge in un attimo.

Nelle sovvenzioni statali verranno, infatti, inseriti quegli enti che avevano un proprio patrimonio librario o archivistico che “si impegnano a valorizzare e a mettere a disposizione con mezzi sempre più moderni, o quegli istituti impegnati ad attività culturali rivolte non solo a un pubblico di studiosi ma a chiunque fosse interessato a seguirle per cultura personale”.

Eventi e fatti storici alla luce dei luoghi di cultura, ecco la luce con cui leggere questo libro che inchioda fino all’ultima pagina e anche, se vogliamo, il suo valore aggiunto.

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