Il saggio di Quinn Slobodian, professore associato presso il Wellesley College di Storia Internationale e Storia della Germania, che ha al suo attivo altre pubblicazioni e una curatela, prende in esame il neoliberalismo del XX secolo, limitatamente al periodo storico che va dalla fine della Prima guerra mondiale, che cambiò l’assetto geo-politico ed economico dell’Europa, fino a prima della frattura delle politiche liberiste dei governi Reagan e Thatcher dei primi anni ottanta.
In quest’analisi l’autore ingloba anche gli anni trenta e quaranta, durante i quali il neoliberalismo è stato considerato, prevalendo l’autarchia degli stati totalitari, come progetto giuridico e politico più che economico, e lascia volutamente fuori la finanza, cioè la trasformazione più significativa del capitalismo mondiale del secolo scorso, in quanto i temi che la compongono sono già stati trattati abbondantemente e in modo esaustivo da altri autori.
Slobodian si concentra su tre generazioni di pensatori europei, ispirati al pensiero illuminista francese e al liberalismo classico, appartenenti al Circolo Mises della Vienna degli anni Venti e, soprattutto, alla Scuola di Ginevra.
Quest’ultima è stata conosciuta nel 1983 grazie ad Ernst-Ulrich Petersmann, esperto di diritto economico internazionale, che l’ha inserita fra le più importanti scuole di pensiero neoliberali.
Con il suo saggio, Slobodian intende rendere giustizia ai contributi apportati al pensiero neoliberalista dalla Scuola di Ginevra, spesso trascurata, insieme ad altre Scuole europee, nei convegni dove domina il pensiero neoliberale delle Scuole anglo-americane di Londra, di Chicago, di Washington e di Virginia, convinti come sono, gli studiosi relatori, che l’America e la Gran Bretagna incarnino i migliori modelli economico-sociali.
Tale mancanza appare all’autore ancora più grave dal momento che questi pensatori del centro Europa hanno saputo guardare con maggiore coerenza e interezza alle problematiche mondiali pur avendo i loro paesi un mercato interno non paragonabile per ampiezza a quello degli Stati Uniti e perché, dopo l’esperienza totalitarista, essi hanno sentito, in modo più pressante, il bisogno di bilanciare il potere dello Stato con quello economico.
Ancora, è a loro che si deve negli anni ‘80 la teorizzazione della WTO (Word Trade Organization), al fine di proteggere i rispettivi campi dell’imperium e del dominium, cioè il dominio degli Stati sugli esseri umani e quello rappresentato dalle ricchezze possedute dalle persone.
L’autore vuole dimostrare che alla base del neoliberalismo, riconducibile a John Maynard Keynes e a Karl Polanyi, c’è una prospettiva di pensiero storico, economico, politico e sociale molto più ampia rispetto alle narrazioni esistenti, che ingloba, sin dal suo nascere, le questioni dell’impero, della decolonizzazione e dell’economia mondiale.
Slobodian presenta il neoliberalismo come una dottrina di pensiero e un modello di governance, evita le generalizzazioni di cui i neoliberali hanno sofferto nel tempo e corregge la visione distorta che di esso è stata data: assertore del dominio delle forze di mercato, quali la mano invisibile della concorrenza di mercato e il laissez-faire globale, che autoregolerebbero i mercati mondiali attraverso i concetti di domanda e offerta; sostenitore del ridimensionamento degli Stati; fautore dell’”ultima utopia”, quella di un unico mercato globale senza confini; come capace di accomunare il capitalismo di libero mercato con la democrazia.
L’analisi di Slobodian, puntuale e attenta, è tutta tesa a smontare questa visione critica e a dimostrare quanto il progetto neoliberale fosse in realtà incentrato sulla progettazione di istituzioni atte non a liberare i mercati quanto piuttosto a “metterli al riparo” (encase) sia dalle minacce della democrazia, attraverso le sue istituzioni, che dai comportamenti irrazionali degli individui, in una prospettiva di Stati in competizione fra loro ma inseriti in un ordine istituzionale internazionale capace di proteggere il capitale e il suo spostamento nel mondo.
È ai neoliberali, coinvolti anche in attività pratiche, che si deve, infatti, la trasposizione dell’ idea ordoliberale di chiedere una “costituzione economica” internazionale, al fine di proteggere gli investitori esteri dalle varie forme di esproprio, e l’aver rintracciato l’emergere di paradisi fiscali, nati per offrire ai capitali porti capaci di dare riparo sicuro dalle tassazioni.
Il saggio di Slobodian, come evidente, è denso di concetti filosofici, politici, economici e sociali, attestati già a partire dalla densa introduzione dello stesso autore; molto ricchi anche l’elenco bibliografico posto alla fine della pubblicazione e le note a piè di pagina.
Da consigliare a lettori, se non specialisti, competenti, attenti, esigenti.
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