Recensione: "Gli anni belli", adolescenza e impegno nel film d'esordio di Lorenzo D'Amico De Carvalho Recensione: "Gli anni belli", adolescenza e impegno nel film d'esordio di Lorenzo D'Amico De Carvalho

Recensione: “Gli anni belli”, adolescenza e impegno nel film d’esordio di Lorenzo D’Amico De Carvalho

Recensione: "Gli anni belli", adolescenza e impegno nel film d'esordio di Lorenzo D'Amico De Carvalho Recensione: "Gli anni belli", adolescenza e impegno nel film d'esordio di Lorenzo D'Amico De CarvalhoI primi anni Novanta, in particolare il 1994, sono stati anni di svolta per l’Italia. Di qui il notevole interesse che, di recente, si sta manifestando per l’analisi di quel periodo, al centro dell’attenzione di film e serie tv un po’ ovunque.

Gli anni belli, film cbe segna l’esordio di Lorenzo D’Amico De Carvalho, in sala dal 7 febbraio, è ambientato proprio nell’estate del 1994. Un nuovo governo è da poco salito al potere ed Elena (Romana Maggiora Vergano), 17 anni, amante dei Nirvana e pasionaria in erba non vede l’ora di farlo cadere. Purtroppo per lei i suoi genitori hanno altri programmi.
Il padre (Ninni Bruschetta), burbero insegnante di greco, e la madre (Maria Grazia Cucinotta), paziente mediatrice, si trascinano una consuetudine dagli anni ’70: saltare in macchina e recarsi ogni estate sempre nello stesso, identico campeggio.

Lo stesso regista lo descrive così: “Gli Anni Belli è il racconto di formazione di una generazione, la mia, in cerca di Rivoluzione in un mondo dove ci veniva detto che la Storia era ormai finita.
Nati in una società super-privilegiata, la fine della guerra fredda ed il procedere dell’integrazione europea ci promettevano un futuro di pace, libertà, ed eterna crescita economica. Un mondo perfetto, contro il quale sentivamo comunque l’urgenza di ribellarci. La nostra adolescenza – dal latino adolesco, che significa crescere ma anche bruciare – ci spingeva comunque a rivoltare il mondo.
Un’operazione ben difficile quando tutto intorno a te sembra costruito al solo scopo di soddisfare il principio del piacere, e la felicità mostrata come alla portata costante di tutti, a patto che si sia in condizione di comprarla”.

E proprio il campeggio, meta fissa della famiglia, fornirà l’immagine plastica di questo cambiamento: cambierà nome in Bella Italia (che, senza dichiararlo apertamente, riprende gli stilemi grafici di Forza Italia) e rappresenta il “nuovo” fatto vacanza. Elena approda al “Bella Italia” rassegnata a un’estate infernale, ma non ha fatto i conti con l’arrivo a sorpresa di un gruppo di ventenni (ai suoi occhi grandi e fichissimi) e soprattutto con l’apparizione angelica di André, diciottenne italo-francese bello quasi più di Kurt Cobain. Sullo sfondo di un’Italia che non lo sa, ma sta cambiando tanto anche lei, Elena si appresta a vivere l’estate più esaltante di sempre, tra rivoluzioni, lacrime di sofferenze d’amore adolescenziale che si affogano in enormi gelati, falò al mare, giochi in spiaggia, sorprese, rivelazioni e trombe marine.

“Un racconto di formazione”, lo ha definito sopra il regista, che vanta esperienze a fianco di Giuliano Montaldo, Cristina Comencini, Alessandro D’Alatri, Daniele Luchetti, Enrico Vanzina, e Marco Tullio Giordana, oltre a regie teatrali e liriche. E in effetti la parte più interessante del film, che pure scivola qua e là, quasi soffrendo di una piccola ansia da prestazione, è proprio il percorso di Elena, che entra nel campeggio scoraggiata adolescente rimandata in greco e ne esce più adulta e consapevole, grazie alla riscoperta delle relazioni in un ambiente che fa della finzione scenica la sua ragione di vita e di business. Sullo sfondo, i Mondiali USA 1994, che inchiodano tutti i villeggianti allo schermo, con il Divin Codino Roberto Baggio che sbaglia il rigore decisivo: metafora di un’Italia che va a sbattere contro la traversa della Storia e anche memento per una generazione che sta perdendo il senso dell’impegno, conquistata e travolta da un edonismo di ritorno, dopo la sbornia degli anni Ottanta, barattandolo con comodità e carabattole.

Interessante anche il gioco di generazioni: quella cresciuta all’ombra dei Sessanta-Settanta è solida, idealista e anche un po’ disincantata, quella degli adolescenti dei Novanta è grunge nell’anima, disorientata, smarrita nella mancanza di appigli, che siano essi ideologie, ormai scomparse, o semplicemente un sentimento sincero.

Gli anni belli è un film costantemente sopra le righe, talvolta quasi macchiettistico e questo potrebbe far storcere la bocca a qualcuno. Ma se si gratta sotto la superficie se ne apprezzano i tanti pregi, compresa una profondità a prima occhiata inaspettata. Una menzione per Bebo Storti, guest star sempre all’altezza della situazione.

 

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