Recensione: "Giugno", la guerra delle parole

Recensione: “Giugno”, la guerra delle parole

“La guerra era un eccellente modo di camuffare i vizi da virtù. La guerra lavava, promuoveva ad atto eroico qualunque cosa: la stupidità, la perfidia, la ferocia; in guerra serviva tutto ciò che in tempo di pace non aveva senso.”Recensione: "Giugno", la guerra delle parole

Eppure la guerra non esiste mentre ci sei dentro, la percepisci solo da una certa distanza temporale o fisica. Rinunciando a raccontare la guerra Bykov si occupa di allestire una mostra di autonome visioni dell’esistenza, che si succedono nel quotidiano dei tre personaggi principali del libro.
Il vissuto “minimo” invade e pervade restituendo una concezione astratta del periodo storico in cui si muove.

“Giugno” non è un mese come un altro, è il giugno in cui Hitler attaccherà l’Unione Sovietica, con quell’operazione denominata Barbarossa.
Ma in primo piano nel romanzo resta la vita comune dove la Storia è solo una suggestione lontana. Narrare di eventi per lo più ben noti ai lettori, consente all’autore di poter prescindere da essi.

Così lo studente di letteratura Misa, per sfortunate vicissitudini si ritrova a fare l’inserviente in ospedale. Rinunciando al suo sogno di diventare poeta e subendo infinite umiliazioni.

Nella minuzia della descrizione si intravede una metafora più ampia: non c’è spazio per slanci poetici nel tempo “macchiato” di realismo della guerra, puoi non accorgertene, puoi viverla come un evento qualsiasi del tuo percorso, ma essa è lì e segnerà ogni tuo passo.

Tuttavia la guerra esce ed entra di scena, per interi capitoli spesso dimenticata per far spazio alla vita stessa. La lettura è pacata, i personaggi si muovono lenti, lontani, evitano i forti chiaroscuri del dramma. C’è una sensazione latente di grande rassegnazione al corso degli eventi, una predisposizione forse dell’animo popolare sovietico.

Su questo impianto si innesta la figura di Boris, un ambiguo giornalista. La sua figura è l’incarnazione del doppio gioco, irrimediabilmente diviso tra la moglie e l’amante, nasconde non solo la sua relazione segreta, ma molto altro. Con lui il romanzo riluce della nota emotiva più alta. La sua collocazione nel quadro sociale è di per sè instabile, le sue continue contraddizioni, rendono la sua posizione sempre più precaria. Sembra immesso nel racconto con lo scopo di negarlo e interpretare il corso degli eventi con una superiorità conoscitiva pericolosa. La sua presenza nulla ha a che fare con il giornalismo e rischia di rivelarsi letale.

L’immobilità del romanzo quindi si infrange in piccoli punti del racconto. La complessità dell’incastro dei personaggi dovuta alla presenza simultanea di “caratteri” totalmente estranei tra loro e la loro incoerente presenza l’uno nella vita dell’altro, è risolta incredibilmente nell’introduzione di un terzo personaggio: Ignatij.

Bizzarro studioso convinto di poter influenzare il comportamento umano attraverso la scoperta del segreto “conativo” del linguaggio, che gli permetterà secondo lui di piegare il mondo al suo volere: una matrice davanti alla quale gli uomini si dispongono nelle dovute pose.
Quale è il filo conduttore di questi tre personaggi così diversi tra loro? Probabilmente è la parola stessa, il suo uso, la visione personale che ognuno ha del mestiere di “scrivere”.

Un poeta, un giornalista, uno studioso del linguaggio. Il romanzo celebra la letteratura, l’arte silenziosa che attraverso lo sguardo rende visibile l’invisibile, cioè i sogni, le aspirazioni, i desideri di una società che stava, dal quel fatidico giugno, sempre più rapidamente accorciando i suoi orizzonti.
Lo sguardo mobile della letteratura dispiegato in una triplice esperienza.

L’ambigua convivenza di astrazione e realismo, superficie e profondità, quotidiano e Storia, fa in modo che “Giugno” col suo tentativo di rinnegare lo spazio epico della guerra, rinunci a uno spazio storico dei personaggi nel racconto. Non sono altro che apparizioni, incastonate in un dato tempo, di cui rimangono solo scene di vita che si succedono, ironicamente ignare, verso l’immediato futuro.

Vere protagoniste restano la letteratura e le parole:
“Erano parole della risolutezza più nera, capaci di risvegliare i morti”

L’autore Dmitrij Bykov è uno scrittore, un giornalista, un professore, un poeta, un saggista. Si è occupato delle biografie dei grandi scrittori russi del secolo scorso. E proprio questo suo amore per la letteratura, il cercarne l’impronta, tracciarne i contorni, ma anche definirne la personalità, è in qualche misura l’anima del suo racconto.
Laureato presso la facoltà di giornalismo dell’Università statale di Mosca. Ha insegnato letteratura e storia della letteratura sovietica. Come giornalista e critico, ha scritto per la rivista Ogonëk dal 1993.
Insieme all’attore Michail Efremov ha creato il progetto Citizen Poet, in cui Efremov legge poesie scritte da Bykov, contenenti di solito critiche e satira riguardo alla società, alla politica e alla cultura russa contemporanea. Nel 2018 Giugno è risultato tra i finalisti del Big Book Award.

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