Recensione: Geova Heart Mother – godibile odissea di crescita e consapevolezza
OVOSODO BY GEOVA
Un grande autore è tale perché dice la verità.
La sua verità, certo. Perché di verità non ce n’è mica una sola. Un grande autore non dà risposte, soprattutto. Perché non ce l’ha e non sa di averle, come averle, che senso avrebbe averle. Egli si limita a fare quello che può col solo ausilio dell’esperienza vera, e dell’onestà intellettuale. Se poi al tutto si aggiunge anche un pizzico di ironia il gioco è fatto.
E dato che, per dirla con Don Milani “la dimensione di una vita non si misura dalla dimensione del posto in cui si è vissuta, ma da tutt’altre cose”, poco importa che questo gioiellino che ho appena finito di sfogliare dal titolo “Geova Heart Mother” di quel mascalzone di Ettore Ferrini non è stato pubblicato da Einaudi o da Mondadori. Il Tempo e il sottoscritto cercheranno di rendergli giustizia il più possibile.
Partiamo dall’inizio: l’impianto di questo godibilissimo romanzo illustrato ci riporta alla mente un sacco di cose, film, romanzi di formazione, ricordi indelebili dell’adolescenza, soprattutto. Prendete “La misteriosa fiamma della Regina Loana” di Eco, aggiungeteci un pizzico di “Short Skin” di Duccio Chiarini e anche qualche grano del “Diario segreto di Adrian Mole”. Manca solo l’additivo segreto: tutta la vicenda di quest’opera di formazione e deformazione è ambientata all’interno della congregazione dei Testimoni di Geova.
Se YouTube ci fornisce continuamente materiale dal quale dedurre come si viva all’interno di un contesto come quello di cui sopra, Ferrini ce lo racconta attraverso la sua odissea di crescita e consapevolezza. Portato alle adunanze dai suoi genitori, il Nostro cresce in una gabbia convinto, come tutti quelli che gli girano intorno, di essere una specie di fanciullo rosseauiano. Gli è, tuttavia, a differenza dei suoi amici e parenti, che Ettore ha sempre un orecchio teso e curioso verso “il mondo”, e allora ecco l’incontro con i Pink Floyd e l’arrivo di multiple epifanie, tra cui il primo amore. Tutte cose ovviamente osteggiate dai membri anziani della sua Chiesa.
Ecco dunque il passaggio al bosco del protagonista, osteggiato e ostacolato come e più di un eroe antico da chi (incredibile ma vero) viene definito, in certi romanzi banalotti, punto di riferimento: la famiglia, gli amici.
Ferrini salta il fosso senza paura di sporcarsi i calzoni e fa centro. Con ironia e precisione tratteggia avversari e complici, amori e guerre, con una semplicità disarmante, quasi da libro di narrativa per ragazzi (ma nel senso buono); la storia e le pagine scorrono rapide e ci abbandonano proprio sul più bello, sull’orlo cioè di quel fosso che adesso tocca a noi saltare.
L’amore a quell’età fugge, ed è giusto così, così come è normale rincorrerlo pur sapendo che non lo potrai mai afferrare. A diciott’anni devi correre, per passeggiare ne avrai anche troppo di tempo. Di fatto là dentro non puoi esperire l’amore ma solo una sua versione contraffatta, e in cui mancano pure dei pezzi. Come voler mettere “The Wall” in una TDK da 60 minuti. E non sei nemmeno tu a decidere quali canzoni togliere.