Recensione: "Ero in guerra ma non lo sapevo" - L'omicidio Torregiani e il terrorismo, ricordi ancora vivi Recensione: "Ero in guerra ma non lo sapevo" - L'omicidio Torregiani e il terrorismo, ricordi ancora vivi
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Recensione: “Ero in guerra ma non lo sapevo” – L’omicidio Torregiani e il terrorismo, ricordi ancora vivi

Recensione: "Ero in guerra ma non lo sapevo" - L'omicidio Torregiani e il terrorismo, ricordi ancora vivi Recensione: "Ero in guerra ma non lo sapevo" - L'omicidio Torregiani e il terrorismo, ricordi ancora viviEsistono fatti che sembrano far parte del passato, sepolti come le vittime che ne sono state coinvolte. Poi riemergono, all’improvviso, prepotenti, come se non fossero mai scomparsi dalla memoria.

In questo caso l’opera di riemersione è dovuta alla cattura, a seguito dell’estradizione dal Sudamerica, di uno degli storici esponenti di spicco dei Proletari armati per il comunismo (Pac),  gruppo eversivo di estrema sinistra attivo in Lombardia, Veneto e Friuli tra la metà del 1976 e la fine del 1979, Cesare Battisti.

Sarà in sala da oggi e sino a mercoledì Ero in guerra ma non lo sapevo, il film che racconta gli ultimi giorni di vita di Pierluigi Torregiani, titolare di una gioielleria alla periferia nord di Milano, ucciso in un agguato dai Pac nel 1979.  Il soggetto è tratto dal libro scritto dal figlio Alberto Torregiani, colpito da un proiettile vagante durante l’attentato, rimasto paralizzato e costretto sulla sedia a rotelle.

Come dichiara il regista Fabio Resinaro, “Il noto episodio di cronaca, l’omicidio dell’orefice Pierluigi Torregiani, è da più di quarant’anni oggetto di dibattito; strumentalizzato indistintamente dalle parti politiche e inserito in una narrazione ormai consolidata nel contrapporsi di due punti di vista antitetici, che, da sempre, hanno il grande limite di rimanere esterni alla vera vicenda umana delle persone che vennero coinvolte.” Un terreno scivoloso, dunque, nel quale il regista, che compare anche tra gli sceneggiatori insieme a Mauro Caporiccio e Carlo Mazzotta, sceglie la via del racconto umano, un punto di vista centrato più sull’uomo, con un forte accento sulla famiglia, che sul personaggio.

Perché va detto, Torregiani era un personaggio eccome: spavaldo, apparentemente intrepido, imprenditore moderno (faceva le televendite dei gioielli, nel 1979!) e di successo, sempre a testa alta e sguardo fiero, con una pistola in fondina indossata costantemente. Sarà proprio questo il punto centrale della vicenda: a seguito di una tentata rapina, muore un giovane bandito. Non è stato lui a sparare, ma molti giornali lo accusano di essere un giustiziere borghese. La tensione politica dell’epoca lo rende un obiettivo perfetto per i PAC.

Ero in guerra ma non lo sapevo fa della scelta intimistica la sua chiave politica. Tutt’altro che neutrale, il film prende una posizione netta, condannando senza appello chi, in nome di un’ideologia politica, ha scelto la via dell’eversione, di fatto sterilizzando quella tensione positiva che era stata generata dal difficile Sessantotto italiano. La pellicola ci racconta il lockdown che di fatto la famiglia Torregiani deve vivere per le continue minacce alla propria incolumità, generando nella contemporaneità pandemica un brivido e una forte empatia negli spettatori.

E attenzione, Torregiani (interpretato da un Francesco Montanari incredibilmente convincente persino nell’accento milanese, pur essendo romano de Roma) non viene ingentilito, né mitizzato: più di una volta si percepisce antipatico, narcisista, insensibile e concentrato solo su di sé e sul proprio lavoro. E infatti non mancheranno le tensioni con la moglie (interpretata da Laura Chiatti) e con i tre figli adottivi. Ma forse proprio questo ritratto conferisce verità al racconto, consentendo quella connessione empatica che agevola la trasmissione del messaggio che sceneggiatori e regista ci vogliono consegnare.

“Ero in guerra ma non lo sapevo” apre la porta di casa di una famiglia borghese negli anni più bui della nostra Repubblica, la tragica storia della sua progressiva distruzione per mano dei terroristi. Tuttavia, gli assassini, con le loro minacce e P38, nel film non si vedono, non agiscono. Restano anonimi, senza una vera identità. Fantasmi armati che uccidono e basta”. Così descrivono gli sceneggiatori la scelta stilistica che si accoppia a una regia marcatamente televisiva che, talvolta, tenta qualche guizzo. Non sempre ci riesce, ma sicuramente rende apprezzabile il prodotto finale.

Ero in guerra ma non lo sapevo è dunque un film politico, prodotto da Luca Barbareschi, capace di risultare attuale pur narrando fatti di oltre quarant’anni fa. Ci riesce toccando le giuste corde: la famiglia, la minaccia incombente, il già citato lockdown e grazie a un indovinato cast di attori che riescono a valorizzare un lavoro di sceneggiatura e regia di livello.

 

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