Recensione: Edoardo Pesce si mette a nudo in “Kitarrevvoce”
Entra sul palco quasi in punta di piedi. Eppure il suo curriculum gli consentirebbe un ingresso da divo. Edoardo Pesce, attore romano molto amato dagli italiani, è stato portato alla ribalta dalla serie Romanzo Criminale, vincendo poi anche un David di Donatello per Dogman e infine interpretando magistralmente il grande Alberto Sordi nel film tv del 2020 “Permette? Alberto Sordi”, uscito nel centenario della nascita del grande attore romano, collaborando anche alla sceneggiatura.
Kitarrevvoce, il suo nuovo show visto per voi nella tappa dell’Altra Scena Piombino Festival, è innanzitutto un’esperienza intima. L’attore, infatti, comincia il suo spettacolo raccontando di essere stato, di fatto, bullizzato persino dalla sua stessa famiglia per il suo amore precoce per il blues, genere decisamente fuori dagli schemi e così poco trendy da far affermare a tutti che, in fondo, “ha rotto i c….”.
In effetti l’anima blues di Pesce è la vera protagonista sulla scena, persino quando l’ironia romana prende il sopravvento, forte dell’esperienza maturata nell’Orchestraccia, insieme a Marco Conidi, Edoardo Pesce, Luca Angeletti, Giorgio Caputo e tanti altri. Si susseguono così brani di puro divertimento, quali Pretenzioso, omaggi al cinema, in particolare a Robert “Bob” De Niro, per giungere alla esplicita denuncia di Cucchiara Rumena, sul lavoro nero e le morti bianche, dicotomia solo apparente e in realtà due fattori ben stretti nelle tragedie quotidiane.
Accompagna Stefano Scarfone, chitarrista di livello assoluto, autore di lavori per la RAI, un paio di dischi all’attivo, in grado di dare solidità e sicurezza alla parte musicale di Kitarrevvoce, al punto da lasciare libero Edoardo Pesce di liberare la propria espressività e quasi improvvisare in alcuni passaggi. E così si parla, senza nominarli, di Roma che sta perdendo la sua storia, di periferie, d’amore. C’è spazio persino per trasformare San Basilio, trentesimo quartiere della Capitale, estrema periferia a nord-est, in un Samba-sio, nel quale la pronuncia romana consente un ponte ideale con ritmi sudamericani, nei quali però sono proprio gli adagi capitolini a spadroneggiare.
Dura appena un’ora, Kitarrevvoce, e qualcuno nel pubblico se ne lamenta, perché è facile lasciarsi trasportare da questa esperienza. C’è tanto cuore in questo spettacolo, nel quale Pesce non si risparmia. E forse non è un caso che in prima fila ci sia la misteriosa fidanzata, che corre ad abbracciarlo subito dopo l’ultimo pezzo.