Recensione: “Dove si nascondono le rondini” – L’ineluttabilità del transito
Lamberto ha 13 anni e, come ogni adolescente, ha rapporti faticosi con i genitori.
Secchione, timido e introspettivo, fatica anche nei rapporti con i coetanei.
In una delle scorribande con il gruppo dei Lupi Matti, nel quale cerca disperatamente di inserirsi, finisce in un casolare abbandonato dove incontra Irene, la donna con la pistola.
Tra il ragazzo e la donna, militante delle Brigate Rosse, nasce una tenera amicizia, che resisterà ai cambiamenti che avverranno poco dopo nella vita di entrambi.
Il romanzo di esordio di Enrico Losso, Dove si nascondono le rondini, edito da Garzanti, racconta con grande delicatezza questa vicenda.
Il romanzo è di agevole lettura, ben scritto, scorrevole e appassionante ed evoca nel lettore una grande tenerezza.
L’elemento che struttura la narrazione è il legame amichevole tra Irene, brigatista in fuga e Lamberto, un ragazzino in piena crisi preadolescenziale.
Le sintonie tra individui così differenti tra loro, per età anagrafica ed esperienze rispecchiano, in genere, incontri di parti solo apparentemente dissimili.
L’apparente contrasto tra innocenza e colpa infatti si palesa sin dalle prime pagine che descrivono questo incontro.
Lamberto con i suoi nove anni e una vita in divenire e, Irene, con il peso dei suoi anni e delle sue scelte sanguinose, sembrano contrapporsi come le due parti di una medaglia, ma il contrasto è solo apparente.
A una più attenta e sentita lettura infatti, le divergenze tra i ruoli di questi due individui tendono a ridursi e le parti quasi a scambiarsi, perché in tutte le relazioni esiste un luogo interiore che può diventare terreno di incontro, di scambio e determinare una qualche affinità tra due persone.
In Lamberto infatti è presente un impeto di ribellione alle convenzioni e alle contraddizioni adulte che intravede e un senso di rivendicazione, dovuto alla mancata integrazione con il gruppo di coetanei di cui vorrebbe far parte.
Irene invece ritrova nella relazione amicale con Lamberto la propria parte innocente e bambina, il nucleo buono che aveva ceduto il passo al disincanto e che le fa rivedere sotto una luce diversa e dolorosa le proprie scelte.
Il romanzo non scade in un finale falsamente retorico e banale ed infatti entrambi i personaggi, mossi dalle rispettive esigenze, dal proprio ruolo sociale e dall’esempio di chi li accompagna nella vita, seguiranno strade differenti e quasi inevitabili, trattenendo però nel cuore il ricordo e l’arricchimento connesso al loro incontro.
La relazione, in tutta la complessità di scambi e proiezioni, specularità e differenze è dunque la regina di questo racconto.
Sullo sfondo l’Italia degli anni 80 e l’attività sanguinaria delle brigate rosse.
Il titolo del romanzo assimila la vita dei due protagonisti a quella delle rondini e questa metafora è meravigliosamente calzante, perché spiega l’ineluttabilità del transito, propria di certe relazioni umane.