Recensione: “Domenica Matta. Storia di una strega e del suo boia” – Le fiamme della disapprovazione
“Coloro che dicono che nel mondo non esiste alcuna stregoneria se non nella credenza degli uomini, non credono nemmeno nell’esistenza dei diavoli, se non come frutto della credenza del volgo, che serve all’uomo per potere attribuire in base al proprio giudizio al diavolo quello che fa lui stesso“.
Questo è l’incipit profondamente esplicativo del senso del romanzo storico di Gerry Mottis: Domenica Matta – Storia di una strega e del suo boia,edito da Gabriele Capelli, basato sui verbali autentici di un processo dell’epoca in cui è ambientato.
Nella città di Venezia nel 1615, un uomo incappucciato sventa l’attentato al nuovo doge.
L’uomo in realtà si trova in quel luogo perché fuggito da Mesolcina, dal suo passato e dalle conseguenze delle sue azioni e sta tentando di ricostruirsi una vita insieme a Diana, una bambina che protegge.
Diana è la figlia di una donna condannata a morte in quanto giudicata come strega. L’uomo avrebbe dovuto essere il suo boia, ma innamoratosene, non ha voluto portare a termine l’esecuzione.
Il passato trascinerà il boia improvvisamente nelle sue spire e insieme alla piccola Diana egli sarà costretto a ritornare nella sua veste di esecutore di morte, per poter riscattare presente e futuro di entrambi.
Il romanzo di Mottis è semplicemente straordinario.
È ben scritto, scorrevole, appassionante e perfettamente coerente con il contesto storico che descrive.
È lodevole come l’autore riesca a trovare nel racconto un equilibrio perfetto tra la cronaca di un processo reale e quindi la denuncia di accadimenti ingiusti e delittuosi dell’epoca, e l’espressione del sentimento, senza mai scadere nella banalità e nella falsa retorica e conferendo, anzi, ai protagonisti, una grande intensità.
Il lettore viene letteralmente tenuto sospeso su una corda funambolica in costante equilibrio tra il bene e il male, che è possibile rilevare in ciascuno dei protagonisti del romanzo.
Il risultato di questa visione nella sua interezza, non è il perdono come elemento scontato e prevedibile, ma un tormentato, precario e affascinante equilibrio, frutto di una illuminata espiazione.
I nostri protagonisti infatti risultano essere luce nell’oscurità di un’epoca in cui la superstizione o l’isteria di massa potevano condannare a morte donne perché ritenute eretiche e quindi streghe.
La ragione prima delle credenze nel Medioevo, infatti, stava tutta nel bisogno di spiegare ciò che risultava incomprensibile e di canalizzare rabbia e frustrazione verso un soggetto, più in generale una donna.
Di solito si trattava di donne sole o che non apparivano conformi o integrate all’interno della comunità, che magari erano istruite e culturalmente evolute o anche guaritrici o prostitute.
Il romanzo di Mottis è quindi una importante denuncia di questa mortificante consuetudine dell’epoca.
Attraverso il racconto dei fatti e della verità retrospettiva, l’autore riscatta la figura della strega e pertanto anche quella della donna, avvalorando qualità come cultura, resilienza, accoglienza, guarigione e quella più fastidiosa agli occhi di maschi frustrati e insicuri e che danneggia la libera espressione femminile ancora oggi: l’autonomia di pensiero.
Tutti i maschi dovrebbero poter leggere questo romanzo e anche tutte le donne; il processo sommario e il rogo sono ancora praticati, anche se in senso metaforico.
Le fiamme della disapprovazione e del giudizio bruciano ancora oggi ingiustamente, quasi tutte le donne che tentano di emanciparsi dagli stereotipi: non siamo poi così lontani dal Medioevo.