Recensione: Dalla fine – L’essenziale per un libro
Dalla fine
di Lorenzo Calvisi
Self publishing
Subito, dal primo istante che ho avuto tra le mani il libro di Lorenzo Calvisi, ho provato un senso di grande curiosità. Sono una cultrice dell’oggetto libro, mi piace studiarne i colori, il peso della carta, l’accuratezza delle immagini e dei font usati.
Dalla fine mi si presentava come un piccolo volume, dalla grafica di copertina inusuale, per quanto essenziale e minimalista: una carta avorio che ricorda le pergamene, dalla grana spessa e piacevole al tatto, il nome dell’autore (quasi sussurrato) in corsivo e il titolo in tondo e in rosso, appena di qualche punto più grande. E poi quel formato, tascabile vero, di una dimensione che può agevolmente essere messa nella tasca di una giacca e da lì trasportata ovunque.
Ok, mi sono detta, interessante, ma che cosa dovevo aspettarmi una volta iniziata la lettura? Le pagine, scandite dai numeri romani (solitamente e oramai usate solo in alcuni casi per la numerazione delle pagine che accompagnano le prefazioni) non sono molte e connotano un testo breve, ma non certo il tempo di lettura, che invece a mio parere può essere dilatato fino a coprire uno spazio infinito. Perché queste pagine avorio si prestano a essere aperte e poi chiuse e poi aperte di nuovo, e su ogni singola frase è possibile che ognuno di noi si soffermi, meditando, riflettendo, approfondendo per lunghi minuti, secondo il proprio sentire.
Ma andiamo per ordine. È consuetudine propria di tutto ciò che afferisce al mondo editoriale (dai critici, ai recensori, agli editori…) attribuire un genere al libro che si presenta, e mai come in questo momento se stanno creando di nuovi (dal low fantasy al cosy crime!). Il motivo, credo, sia da ricondurre al bisogno di sapere fin da subito dove si va a parare acquistando un libro, poiché la paura dell’ignoto spaventa, e ancor più si sente la necessità di appartenere a qualcosa, sia pure a un genere letterario. È bene sapere subito, che Dalla Fine, non appartiene a nessun genere definito tale. E se i brevi paragrafi che lo compongono possono far pensare a una raccolta di aforismi, siamo fuori strada, perché vi è molto di più, o, meglio, vi è qualcosa di altro: liriche, citazioni, intimi pensieri, immagini, frammenti.
L’esergo, che introduce alla lettura, è composto da un cospicuo numero di citazioni che di fatto sono la presentazione, o prefazione, dell’opera.
Significativa è la prima citazione che troviamo:
Ma solo non io esprimo i miei pensieri per amor vostro: io non li esprimo nemmeno per amore della verità. … Io canto perché sono un cantore. Ma di voi faccio uso, e ho bisogno di orecchie che mi ascoltino. Tratta dall’opera maggiore del filosofo tedesco Max Simer, L’unico e la sua proprietà, essa sola già ci introduce nello spirito dell’opera, permeata dalla ricerca indifferibile e impellente del senso dell’essere uomo, al di là delle religioni e delle limitazioni imposte dagli Stati e dall’uniformazione canonica ai dogmi socioculturali imposti dal consesso urbano.
Il libro si divide in tre parti: Vaneggiamenti, Barbarie, Sparsi frantumi.
In Vaneggiamenti, l’autore si interroga sul significato della scrittura e delle varie forme letterarie, sul senso della parola e dell’atto dello scrivere. Il tentativo, per lo più vano, di essere redenti dalla parola.
Scriviamo frantumi affinché ci si sgretolino tra le dita.
Le parole non devono comunicare il pensiero, devono mostrarlo.
Quando scrivo sono solo, veramente solo; eppure scrivere non è altro che un modo per evadere da questa solitudine, vana e disperata fuga da questo romitaggio spirituale.
In Barbarie, la parte centrale, Lorenzo Calvisi, riflette su ciò che il Novecento ci ha lasciato, per lo più torpore e stordimento:
Accorgersi di disprezzare ogni epoca, e prendere ogni cura per rifiutare la propria. È indispensabile scrivere e pensare contro il proprio tempo: bisogna essere assolutamente inattuali, se non si vuole che quell’eterna cloaca che è il presente ci seppellisca sotto il peso dei suoi spessi miasmi.
L’unica civiltà libera è una civiltà morente.
Infine, Sparsi frantumi conclude la raccolta. Pennellate delicate e brevissime, riflessioni che pur generate da un tormento privato assumono una dimensione corale, nella quale ho trovato molto di me.
Raccolgo brandelli di me stesso e tento di costringerli in unità, ma non procedo oltre uno sgraziato mosaico.
Il pensiero ci allontana dalla vita. Pensare alla retta via significa già errare.
Dissanguo le mie esperienze a forza di riflessioni, come un glossatore dissangua un testo a forza di note.
Con l’Epitaffio, lapidaria lirica conclusiva, quasi un Canto del Cigno cechoviano, l’autore arriva al compimento del suo viaggio nel dolore e nella disillusione: Le fonti dei giorni nostri sono tutte inaridite, i loro insegnamenti sono tutti incomprensibili ….
Nel Poscritto-ovvero un tentativo di autoesegesi, Lorenzo Calvisi ci racconta che la prima stesura di questo testo “toccava il doppio centinaio di pagine” e doveva avere un diverso titolo; poi, ha proceduto andando per sottrazione, lasciando solo quello ritenuto essenziale per un libro “… nato come spaccato e testimonianza della mia mentalità in una precisa fase della mia vita e … sono state concrete sofferenze personali a ispirare i pensieri che popolano questo volumetto, pensieri in ogni caso frutto di una sublimazione, ossia del passaggio dal piano della sofferenza, il cui dominio è quello biografico, al piano del pessimismo, il cui dominio è invece il filosofico.”
Avviandomi alla conclusione, Dalla fine di Lorenzo Calvisi, è un piccolo (grande) libro che non può essere contenuto in una tradizionale sinossi.
Invito quindi chi mi legge, a cercare di procurarsi una delle copie numerate a matita, e quindi ancor più preziose, e di iniziare la lettura con cuore e mente aperti e attenti.