Recensione: City Hunter. Private Eyes, da un manga classico un film d’azione colmo di ironia
Torna un personaggio diventato leggenda per tutti gli appassionati. City Hunter. Private Eyes è infatti il nuovo lungometraggio realizzato in occasione del 30° anniversario della prima messa in onda giapponese della celebre serie animata. Una storia originale ricca di nuovi personaggi, ma anche di tutte le vecchie, mitiche conoscenze che abbiamo imparato ad amare.
City Hunter è l’ormai celebre investigatore privato ossessionato dalle belle donne e sempre a caccia di criminali. Il suo quartier generale è a Shinjuku, a Tokyo. È da qui che City Hunter e la collega Kaori fanno partire le loro indagini. La loro ultima cliente è una modella, Ai Shindo, minacciata da misteriosi criminali e inconsapevolmente in possesso di una “chiave” legata a una cospirazione che coinvolge l’intera città. Riuscirà Ryo Saeba a proteggere Ai e a salvare tutta Tokyo?
City Hunter. Private Eyes, prodotto da Aniplex e Sunrise, è il quarto lungometraggio animato dedicato all’irresistibile detective creato da Tsukasa Hojo e ha ottenuto un notevole successo in Giappone, dove ha incassato oltre 1 miliardo e mezzo di yen (circa 12 milioni di euro), totalizzando oltre 2 milioni di euro solo nel primo fine settimana.
L’inedito lungometraggio è diretto da Kenji Kodama, già regista delle prime due serie animate di City Hunter, andate in onda in Italia negli anni Novanta. Il manga di City Hunter è stato pubblicato per ben otto anni e ha battuto ogni record di vendite nel mondo, dando vita a 4 serie televisive, per un totale di 140 episodi e 6 lungometraggi. Così come nell’edizione giapponese, anche in Italia sono stati ingaggiati i doppiatori storici della seria animata.
Sono presenti tutti quegli elementi che hanno decretato il successo di City Hunter: le belle donne, i maldestri tentativi di Ryo di conquistarle, Kaori e il suo enorme martello, le gag, le incredibili e distruttive scene d’azione. Presenti anche Umibozu e naturalmente le tre sorelle di Occhi di Gatto, sebbene relegate al ruolo di mere comparse. Il tutto però è condito da una regia e una qualità d’animazione che aggiungono al fascino anni Ottanta di City Hunter una tecnica al passo col Ventunesimo secolo.
Il “cattivo” della situazione, immancabile, funge anche lui da servizio ai protagonisti, non riuscendo mai a “mordere” e anzi alla fine risultando anche inadeguato al ruolo. Tuttavia, l’abbondanza di tecnologie prodotte dalla sua Dominatech (nomen omen) sopperisce bene a queste lacune e fa sì che l’avanzare della trama sia sempre gradevole e scorra liscio. I 90 minuti letteralmente volano. A condire il tutto, una bella serie di extra dopo i titoli di coda, tra cui la sigla in italiano cantata da Stefano Bersola in versione live.
City Hunter. Private Eyes, l’avrete capito, non inventa nulla e si limita a dare una rinfrescata al classico manga. Ad uno sguardo più attento, però, questo diventa un pregio, perché City Hunter ha in sé tutti gli ingredienti per un’ottima serie e anche per una convincente trasposizione sul grande schermo.