Recensione Cinema: Deserto particular – Spesso la verità non vale niente
Deserto particular
120 min. | Drammatico | Portoghese | 2023 (Brasile, Portogallo)
Regia: Aly Muritiba
Interpreti: Antonio Saboia, Pedro Fasanaro, Thomas Aquino, Laila Garin, Zezita Matos, Sandro Guerra, Luthero Almeida, Otavio Linhares
Musiche: Felipe Ayres
Produzione: Pandora Filmes, Muritiba Filmes, Grafo Audiovisual
Distributore: Cineclub Internazionale
Premi: Premio del pubblico alle Giornate degli Autori della Mostra del Cinema di Venezia
Deserto particular in uscita nelle sale italiane il prossimo 11 gennaio, distribuito da Cineclub Internazionale, ha già incontrato i favori della critica alle Giornate degli Autori della 78ᵃ edizione del Festival di Venezia.
Il film tra palpazione del sé e superamento dei limiti, rinvenimenti dolorosi e strazi, crucci e conciliazioni, porta sul grande schermo una storia cruda ma tenera, vera, per nulla banale e con un finale non scontato. Il regista brasiliano Aly Muritiba, poco conosciuto al di fuori del successo nazionale, riempie di ogni delizia e di ogni derivato dell’emotività umana questa sua ultima opera, come fosse una cornucopia emozionale.
«E quest’accento?» «È del sud» «E lì non ci sono donne?» «Ci sono, ma Sara è diversa»
Occorre attendere 50 minuti prima di assistere a questo dialogo, il primo di un film la cui cifra è il non-detto. Ora, tutto quello che è accaduto prima di queste battute è da scartare? Oppure, tutto quello che avverrà dopo sarà da considerare come l’effetto ritardato di queste parole? No ad entrambe. Proseguiamo con ordine. L’opera di Muritiba ci lascia scoprire la parabola esistenziale dell’agente di polizia Daniel, il quale è stato sospeso dal servizio con l’accusa di violenza privata. Sulla sua vicenda monta un certo clamore e su di lui la minaccia di un processo.
Eppure, la sua unica preoccupazione è Sara, con la quale ha una travolgente relazione virtuale. Quest’ultima, da un po’ di tempo, non risponde ai suoi messaggi. Pertanto, un mattino, Daniel abbandona tutto, perfino il padre malato che accudisce, per intraprendere un lungo viaggio attraverso il Brasile. È ossessionato dalla persona che pensa di amare. Tutti suoi pensieri sono per lei. Daniel le è devoto con la mente ma anche col corpo.
Durante la prima mezz’ora della pellicola le verità si svelano in lenta progressione; è come se un cucchiaino di legno provasse a scalfire la delicata psiche di Daniel, ciò che emerge è un viluppo di emozioni a cui il protagonista non sa dare un nome preciso. A riprova di ciò, il suo atteggiamento davanti alla rivelazione della sorella Débora (Cynthia Senek) di aver intrapreso una relazione omoaffettiva, Daniel non è capace d’altra reazione che la fuga. Daniel preferisce fuggire davanti alla verità, verrebbe da dire. Egli è così determinato a trovare quella donna che non cede a nessuna sirena incontrata nel suo viaggio.
Gli eventi vengono disvelati con abilità senza mai essere scontati o facilmente prevedibili, lasciando un alone di mistero continuo per tutta la prima metà della storia. Deserto particular è un film sprovvisto di forti contrasti o conflitti palesi; eppure, è in grado di concentrare l’attenzione su vicende e personaggi per tutta la sua durata, mantenendo un ritmo costante.
La narrazione raggiunge i suoi picchi quando mostra le scene degli innamorati, i quali centellinano le loro manifestazioni amorose per cause evidenti a chi vedrà l’opera. Quando Daniel, massimamente confuso, chiede a Fernando (Thomas Aquino) di conoscere la verità, si sente rispondere: «Spesso la verità non vale niente». Ma in questo caso la verità non appare subito, bensì ama celarsi. Da qui, in avanti, il focus cambia personaggio e ci racconta, l’altro versante della relazione amorosa: sullo schermo vengono presentate le vicende di Sara.
Con queste premesse, lo spettatore è pronto a fare il suo ingresso nell’oasi dei protagonisti, nel loro deserto privato, per l’appunto. Sarebbe banale concludere dicendo che la pellicola lanci uno schiaffo alla cultura superomistica promossa da Bolsonaro, oppure che tenti di farci ragionare sul fragilissimo concetto di “identità personale”.
Pensiamo, piuttosto, che l’opera promuova anche un altro messaggio e cioè la liberazione dei corpi attraverso le immagini.