Recensione: Ceteris omissis – Valgono gli eccetera in letteratura?
Ceteris omissis: dal latino, “omesso il resto”.
Valgono gli eccetera in letteratura?
Siamo certi che un romanzo, per breve che sia, possa permettersi di omettere qualsiasi cosa?
Quando si scrive chi è che scrive?
L’autore, diranno subito i miei ottuagenari lettori.
Certo, un autore ci deve essere, pur se sconosciuto. Ma chi è che scrive veramente?
Sarebbe il caso di chiederselo, onde non dare adito a fastidiosi fraintendimenti, a perdite di tempo.
Sul finale di Ceteris Omissis (edizioni GH), ve lo assicuro, chi scrive ci viene rivelato: Nevio Taucer, triestino classe 1954, come buona parte dei suoi concittadini inquieto e con una propensione agli incontri rivelatori che si fanno in società (una società sempre più degradata, ma questa è una mia opinione).
Trieste non si indovina, va detto, lungo tutte le sveltissime 32 pagine del suo “romanzo breve”; ma poco importa: quello che attira è, piuttosto, la domanda costante che sorge a ogni voltar di pagina, cioè: chi è che scrive? Perché lo fa? Chi è il protagonista senza nome di questo romanzo breve? E la sua donna? Perché ci compaiono d’improvviso davanti agli occhi? E le lunghe descrizioni, particolareggiate fino all’inverosimile, a cosa servono?
Forse a tratteggiare un sogno, una speranza tutta estatica ed estetica che però, va detto, resta in superficie, non deriva dall’anima dei personaggi.
E, riconosco, siamo contornati da migliaia di soggetti di questo tipo, al giorno d’oggi. Non è forse, la nostra, la società dell’edonismo? (altro che gli anni ‘80!)
Se fosse lo scrittore stesso a parlare, invece, il tutto somiglierebbe al percorso onirico di Luciano Lucignani ne “L’Alibi” (grande film sperimentale a tripla regia degli anni ‘70 disponibile, a pezzi, su Youtube): va tutto alla grande, il successo arride al Nostro, donne, sesso e champagne. Insomma, una noia mortale.
Taucer ci conforta: nel suo finale ci riprende per mano, ci asciuga il sudore (freddo) che ci riga la fronte con un bel fazzoletto di seta, anzi, di cotone, e tutto torna. La grigia normalità del piccolo sognatore riprende il suo posto nell’iperuranio, noi chiudiamo il libro e siamo uguali a come quando l’avevamo aperto.
È il rischio che, coraggiosamente, l’autore si prende (si deve prendere), scegliendo una soluzione di racconto sintetica e nominandola romanzo. Il lettore la accetta, il recensore pure, ma la domanda resta senza risposta comunque: chi è che scrive?
Gireremo detto quesito a Brancati, a Ercole Patti e anche al Moravia di “Io e lui”. Svevo non starei a incomodarlo, e meno che mai Gobetti e gli altri “scrittori liberali” degli anni venti.
Ceteris omissis è il termine che l’autore utilizza per toglierci la soddisfazione VERA di capire chi siano in realtà l’uomo e la donna del racconto. Tutto resta nella superficie superficiale delle descrizioni di descrizioni, dell’appagamento vero o presunto dell’immagine semplicistica di personaggi semplici, facili.
Ceteris omissis.