Recensione: “Casamonica”, zingari nullafacenti o violenti mafiosi?
Casamonica, del giornalista d’inchiesta Nello Trocchia, minacciato in passato dalle organizzazioni criminali per le sue coraggiose inchieste sul riciclaggio dei rifiuti tossici in Campania e nel Lazio, tocca il suo apice con il racconto della scena del 20 agosto 2015, quando per la prima volta l’Italia si accorge dell’esistenza del clan Casamonica. I petali piovono sul piazzale davanti alla chiesa di San Giovanni Bosco, mentre le note del Padrino accompagnano l’arrivo di una carrozza funebre scortata dai vigili urbani. Sulla facciata della chiesa, c’è un grande ritratto di Vittorio Casamonica su cui campeggia la scritta “Re di Roma”. Da allora, abbiamo visto al telegiornale video di pestaggi efferati, giornalisti minacciati e percossi, ruspe e abbattimenti nelle periferie romane.
Eppure a Roma tutti conoscono i Casamonica già da decenni. Sono sempre stati lì, piccoli faccendieri durante il dominio della Banda della Magliana, amici di boss che arrivavano dal sud in cerca di un porto sicuro all’ombra del Cupolone, o di politici e uomini dello spettacolo bisognosi di droga o di un prestito. Per tutti sono i Nullatenenti, gli zingaracci. Ignorati persino dalle istituzioni, incapaci di riconoscere la matrice mafiosa in una ramificazione familiare complessa, distribuita, mastodontica. E intanto i Casamonica hanno edificato un impero fatto di discoteche, locali, palestre, concessionarie di lusso e ville sontuose. Hanno stretto alleanze, hanno consolidato metodi che ne fanno il proprio marchio di fabbrica.
Senza contare l’infiltrazione: attraverso i rapporti fatti di droga, prostituzione, ricatti, la famiglia può contare in appoggi all’interno delle forze dell’ordine, della magistratura e di altri potenti gangli all’interno delle istituzioni, in modo da cavarsela sempre con il minimo danno possibile, spesso facendola completamente franca.
Un racconto impressionante, frutto di un lavoro immenso sul campo, direttamente dove i protagonisti vivono e operano, condotto magistralmente da Trocchia attraverso uno stile giornalistico fresco e vivace, che rende la lettura sorprendentemente semplice anche per il lettore occasionale e ci apre, conducendoci per mano, un sentiero all’interno della diffusa illegalità della Capitale.
Nello Trocchia riesce a districarsi nel complesso albero genealogico, raccoglie le storie di boss pittoreschi e spietati, e di donne feroci e manesche; di vittime coraggiose e di uomini che, nonostante abbiano perso tutto, vivono ancora nel terrore della famiglia. Il risultato è una radiografia impietosa di una Roma in fin di vita, invasa di metastasi in ogni organo, in ogni tessuto: una malattia estesa, a cui lo Stato non sembra capace di trovare rimedio.