Recensione: "Black Parthenope" - Il cinema nel cinema per una città nella città Recensione: "Black Parthenope" - Il cinema nel cinema per una città nella città

Recensione: “Black Parthenope” – Il cinema nel cinema per una città nella città

Recensione: "Black Parthenope" - Il cinema nel cinema per una città nella città Recensione: "Black Parthenope" - Il cinema nel cinema per una città nella città“In sala “Black Parthenope”, l’esordio di Alessandro Giglio, prodotto da Volcano Pictures e WAM. Black Parthenope è un thriller dalle tinte horror girato quasi completamente nella Napoli Sotterranea, la città sotto la città più estesa al mondo, densa di storia, leggende, misteri e luoghi quasi inarrivabili. Prendendo spunto dalla leggenda del “munaciello”, come tramandata da Matilde Serao, la vicenda si intreccia a quella dei pozzari, gli esperti di profondità che lavoravano nel sottosuolo napoletano, per un thriller in cui la tradizione si mescola alla modernità. Un progetto indipendente al 100% che vede un cast internazionale raggiungere luoghi dove nessuna macchina da presa era mai arrivata prima.”

“La quale istoria fu così. Nell’anno 1445 dalla fruttifera Incarnazione, regnando Alfonso d’Aragona, una fanciulla a nome Caterina Frezza, figlia di un mercante di panni, si innamorò di unnobile garzone, Stefano Mariconda.”

Inizia così la leggenda napoletana di Matilde Serao che narra del Munaciello.

“un’anima ignota, grande e sofferente in un corpo bizzarramente piccolo, in un abito stranamente piccolo, in un abito stranamente simbolico; un’anima umana, dolente e rabbiosa; un’anima che ha un pianto e fa piangere; che ha sorriso e fa sorridere”.

Il Munaciello è lo spirito sotterraneo di Napoli. Se volete sentirne delle storie, ne sentirete; se volete averne dei documenti autentici, ne avrete. Di tutto è capace il munaciello.
Fugura affascinante più volte presa in prestito dal teatro e dal cinema, dalla più famosa commedia “Questi fantasmi!” di Eduardo De Filippo, in cui l’amante della moglie del protagonista è rappresentato proprio come un munaciello, al più antico “Nu munaciello dint’a casa ‘e Pullecenella”, commedia fantastica del 1901 di Antonio Petito, fino alle recenti scene del film di Paolo Sorrentino “È stata la mano di Dio”.

O’ Munaciello, che in napoletano significa letteralmente piccolo monaco, è una delle figure esoteriche più famose e caratteristiche della tradizione partenopea. Si tratta di uno spiritello leggendario del folclore della città, rappresentato come un ragazzino deforme o una persona di bassa statura, vestito con un saio e con fibbie argentate sulle scarpe.
Ancora oggi ci si chiede se questa figura sia stata inventata dai racconti popolari o se, invece, esista davvero. Le sue manifestazioni possono essere di simpatia o di dispetto. Egli ha un’anima duplice e complementare, incarna il bene e il male, il bianco e il nero, il sopra e il sotto.

E in questa dualità, tra bene e male, tra il sopra e il sotto della città di Napoli si compie il viaggio di Cécile Bonnet, ereditiera di una famiglia di imprenditori francesi che ha intenzione di aprire cantieri per la costruzione di una serie di mega-parcheggi nelle cave di tufo di Antonio, discendente di una facoltosa famiglia napoletana.

Morti violente, sibili, ombre furtive, il respiro del tufo, il buio e la storia millenaria che assiste impotente. Tutto concorre ad atmosfere gotiche e claustrofobiche, nelle viscere di una città ignara che sopra continua la sua vita frenetica e chiassosa, un intreccio che sembra esaurirsi in se stesso senza trovare respiro in un racconto a cui legare la propria esistenza. Finché il meta-cinema non viene in soccorso al cinema e ne delinea la trama.

Il metacinema, il cinema che mostra e parla di sé, quei fotogrammi disseminati nel film che ne descrivono i meccanismi di funzionamento. Pezzetti della storia che, consapevoli di loro stessi, decidono di scoprire l’inganno, di rivelare il trucco.Recensione: "Black Parthenope" - Il cinema nel cinema per una città nella città Recensione: "Black Parthenope" - Il cinema nel cinema per una città nella città

Diventano il massimo punto di unione, d’identificazione, di sintesi. E a un certo punto, in questa storia scandita da urla di sgomento nel buio sotterraneo e distesi silenzi, accade qualcosa di inatteso, una scena che resta tra le più caratteristiche, originali e significanti dell’opera. Come rendere visivamente i segreti latenti di Napoli sotterranea? Il film trova una perfetta aderenza e soluzione formale nella proiezione sotterranea destinata ai turisti della leggenda di Matilde Serao. La protagonista e noi tutti spettatori, siamo posti lì nel buio del sottosuolo, metafora del buio in sala, a guardare e capire. La protagonista guarda la messinscena e noi vediamo ciò che lei vede: lo schermo mostra, si scuote, si graffia in un suono stridente, compaiono in un vortice accelerato una serie di fotogrammi che narrano la storia del munaciello, spirito e custode del sottosuolo partenopeo.

La friabile e tufacea città sotterranea per millenni è andata incontro a processi di trasformazione talmente radicali da risultarne stravolta nella sua forma dalla società che a sua volta ha prodotto. Capire il senso di questo mutamento, dargli un nome, una validità, è il salto che Cècile dovrà compiere dal buio della città di sotto, ri-venendo alla luce nella città di sopra, come una ri-nascita che porti con sè i segni lasciati dalle migliaia di napoletani che abitarono il sottosuolo cittadino, ridando a questi segni un senso nuovo.

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