Recensione: "Arrivano parole dal jazz", versi e immagini per una musica immortale Recensione: "Arrivano parole dal jazz", versi e immagini per una musica immortale

Recensione: “Arrivano parole dal jazz”, versi e immagini per una musica immortale

Recensione: "Arrivano parole dal jazz", versi e immagini per una musica immortale Recensione: "Arrivano parole dal jazz", versi e immagini per una musica immortaleUn omaggio in versi al jazz e ai suoi esponenti più rappresentativi che fa pensare, soprattutto, alla magica stagione sbocciata negli Stati Uniti tra gli anni ‘50 e ‘60. Per farlo, utilizza una lingua precisa e sapiente, scevra di fronzoli e orpelli, capace di cogliere sfumature emotive e impressioni sonore e fissarle sul foglio attraverso potenti immagini. Jazz come poesia, espressioni e linguaggi differenti eppure accomunati dalla felice successione di note e parole sospese in armonioso equilibro tra pause e silenzi. Dopo una preziosa prefazione a cura di Vittorino Curci, veloci ed efficaci ritratti (belle le illustrazioni a corredo delle poesie realizzate di Alfonso Avagliano) introducono una carrellata di indimenticati strumentisti e interpreti, senza trascurare d’includere due importanti musicisti italiani contemporanei, ovvero: Enrico Rava e Paolo Fresu.

È una poesia semplice e diretta quella di Nicola Vacca, penetra l’essenza di vite infuse in musica, oppure, viceversa, di musica che si fa essenza vitale, dato che si tratta proprio di quel jazz che della vita imita i ritmi ora sincopati ora indiavolati, le battute d’arresto e gli esiti imprevedibili. Si procede tra lentezze calcolate e scatti improvvisi che azzerano “i contatori dell’istante“, in un racconto che si tinge dei toni chiaroscurali consoni alle bocche d’oro dell’improvvisazione, per poi colorarsi delle vivide pennellate di ugole femminili paradisiache e ribelli a un tempo, fino a esplodere nella luce del “sole a mezzanotte” dell’amore per quell’arte che si fa vissuto. Mentre si avanza in questo affascinante percorso, Nina Simone guarda un po’ in tralice e chiede «Cosa significa essere liberi?». La risposta è nel geniale Miles Davis che “non ha mai sprecato il suo fiato“, opera compiuta delle “possibilità infinite” del genio umano; nelle mani di sublimi pianisti; nel sentimento intriso di dolcezza e Spleen di una musica frutto di ragionata follia nelle cui ombre si riverberano fiochi bagliori, poi tinte luminose e, infine, giochi d’artificio e deflagrazioni. “Sonic Boom“!

L’autore ha la capacità di trasmettere la sua grande passione per la materia trattata, accompagnare il lettore e farlo immergere nelle atmosfere vespertine di amare melodie in viaggio lungo i binari delle “ragioni torbide dell’inconscio” capaci, se percorse fino in fondo, di condurre a quella “porta che si apre sul divino“, con tutto lo stupore e la meraviglia che ne derivano.

È lo stupore del quotidiano, del sogno, dell’emozione dirompente come un “dialogo che nasce dal caos“. Sono pur sempre le povere cose del nostro vivere che, confuse tra di loro, illuminate da una luce ambigua che si mostra “nel rovescio di uno specchio”, ci appaiono indecifrabili. Per comprendere il reale così sfuggente e inestricabile nella sua complessità, proprio come il jazz, e scorgerne l’intima semplicità, ciò che occorre è fantasia. E cuore. Usiamolo, come bussola per non perdere l’orientamento, per adeguarci al passo di una vita che chiede semplicemente di essere festeggiata ogni giorno, anche quando si mostra in dissolvenza.

Solamente “Quando saremo capaci d’amare/porteremo con noi i fogli d’ipnos di Keith” oppure, più prosaicamente, saremo in grado di apprezzare le piccole gioie del momento, la vera libertà che viene “dal caffè che beviamo al mattino nelle persone che sfioriamo negli incontri che il caso ci mette sotto gli occhi”. La poesia ci permette di ricavare un senso dal caos delle apparenze, redimerci dall’insipienza del vano scorrere del tempo, a patto di soffermarci laddove vale la pena farlo, invece di passare oltre, inanemente, come se il vivere non fosse altro che un fugace, insensato passaggio. O meglio, lo è se deprivato dei suoi significati profondi, dei momenti di bellezza in cui poterci rifugiare per sfuggire a un “mondo che ci uccide con il frastuono“. Poesia come jazz, fragile opportunità di salvezza “in quest’autunno di giorni agnostici”.

(Nicola Vacca, Arrivano parole dal jazz, Nicola Vacca, Oltre edizioni pagine 91, € 14,00)

Nicola Vacca è stato ospite di una delle dirette di “PuntoZip Atupertù”, nella quale abbiamo parlato proprio di questo libro. Rivivila sulla pagina dedicata!

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