Recensione: "Armand", il "gioco da ragazzi" di Tøndel Recensione: "Armand", il "gioco da ragazzi" di Tøndel

Recensione: “Armand”, il “gioco da ragazzi” di Tøndel

Recensione: "Armand", il "gioco da ragazzi" di Tøndel Recensione: "Armand", il "gioco da ragazzi" di Tøndel“Armand” segna l’impressionante debutto nel lungometraggio del regista norvegese Halfdan Ullmann Tøndel, già noto per i suoi cortometraggi incisivi e originali. Presentato nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2024, il film non solo si è aggiudicato la prestigiosa Caméra d’Or, ma ha anche consacrato Tøndel come una delle voci più promettenti del panorama cinematografico contemporaneo. Arriva ora nelle sale italiane dal 1 gennaio 2025.

Con un’estetica che richiama l’umanità tormentata e i dilemmi morali del cinema di Ingmar Bergman, ma arricchita da influenze satiriche e metacinematografiche tipiche di Luis Buñuel, “Armand” ci trasporta in un microcosmo claustrofobico e inquietante: una scuola elementare in cui l’infanzia e l’etica adulta si scontrano in una danza tanto affascinante quanto destabilizzante.

Una trama semplice che rivela complessità universali

La storia prende avvio da un incidente tra due bambini, Armand e Jon, che scuote le fondamenta di una comunità scolastica. I genitori vengono convocati per discutere dell’accaduto, ma le testimonianze divergenti e l’ambiguità delle circostanze trasformano un evento banale in un’enorme fonte di tensione sociale e morale. Qual è il confine tra gioco e violenza? Tra innocenza e colpa? Attraverso questa lente, il film riflette meno sull’azione concreta dei bambini e molto di più sul comportamento degli adulti, incatenati da menzogne, ipocrisie e dalle loro fragilità interiori.

Tøndel esplora il limite tra il bene e il male con una maestria rara, ponendo tutti i protagonisti – genitori, insegnanti e dirigenti – di fronte a una realtà che si sfalda. Emergono vere e proprie maschere sociali, con evidenti riferimenti alle dinamiche bergmaniane di potere e repressione emotiva. Il film diventa così una potente allegoria della costante tensione tra il desiderio di controllo e la forza destabilizzante della verità.

Temi universali: menzogna, ipocrisia e adultizzazione dell’infanzia

La questione etica centrale di “Armand” è proprio il rapporto tra adulti e bambini. Tøndel ci invita a riflettere su come gli adulti proiettino le loro paure, nevrosi e inclinazioni egoistiche sui più piccoli. L’incapacità dei personaggi adulti di affrontare situazioni ambigue senza distorcerle con le loro insicurezze trasforma la scuola in uno spazio alienante. Questa complessità richiama il mondo morale frammentato di Bergman, dove l’ambivalenza e i conflitti interiori plasmano ogni interazione umana.

In “Armand”, i bambini diventano specchi deformanti delle crisi esistenziali dei loro genitori. La costruzione della realtà da parte degli adulti, basata su falsità e convenzioni sociali, si scontra con l’innocenza disarmante dei piccoli protagonisti, che non conoscono ancora il significato di ipocrisia o giudizio morale.

Un’estetica evocativa e uno spazio narrativo unico

Tøndel opta per un’ambientazione unitaria – la scuola – che diventa una vera e propria gabbia cinematografica. L’uso di una singola location amplifica il senso di claustrofobia e tensione. Le scelte visive del direttore della fotografia Pål Ulvik Rokseth si rivelano magistrali: i contrasti tra luce diurna naturale e gli angoli tetri della notte trasformano lo spazio scolastico in un protagonista a sé stante, una sorta di labirinto emotivo e psicologico.

Numerosi elementi simbolici popolano il film: le interruzioni improvvise (un allarme antincendio, un epistassi, un ballo improvvisato) fungono da squarci nella narrazione, rompendo ritmi ordinari per gettare i personaggi in situazioni surreali e scomode. In questo senso, l’influenza di Buñuel è evidente, con il realismo interrotto da momenti di tensione grottesca che incalzano lo spettatore ad interrogarsi su ciò che è reale e ciò che è interpretazione soggettiva.

La forza della performance attoriale e la fisicità della narrazione

Il cast di “Armand” è guidato dalla magnetica Renate Reinsve, che qui supera sé stessa con una performance straordinaria. Attraverso Elisabeth, il personaggio che incarna di più le fragilità e i conflitti adulti del film, Reinsve dipinge un ritratto complesso di una madre e di una donna bloccata in un’esistenza che è un vero e proprio groviglio tra ammirazione, desideri repressi e disillusione.

Anche Ellen Dorrit Petersen, nel ruolo di Sarah, brilla con una delicatezza e una forza che lasciano il segno. I dialoghi, lunghi e a volte dilatati nel tempo, sposano una gestualità fisica che richiama la danza contemporanea – un omaggio a Pina Bausch che arricchisce il linguaggio visivo del film. In particolare, le sequenze coreografate, come quella tra Elisabeth e il bidello Emmanuel (Patrice Demonière), donano al film un potenziale lirico e astratto, trasformando l’emozione in movimento.

Tecniche e riferimenti che aumentano l’impatto narrativo

Tøndel dimostra grande maturità nell’equilibrio tra ispirazioni e originalità. Dai riferimenti a Bergman nel trattamento degli spazi intimi e dei silenzi, alla satira sottile à la Buñuel, fino alle tonalità emotive di Kieslowski e alla tensione psicologica di Vinterberg, “Armand” incarna un cinema colto, stratificato e entusiasmante. A questo si aggiungono composizioni visive ispirate a “La doppia vita di Veronica” e coreografie che si fanno veicolo di significati simbolici complessi, dando vita a un’opera ricca di fascino.

“Armand” è una rara combinazione di profondità morale, sperimentazione visiva e narrazione coinvolgente. Halfdan Ullmann Tøndel ha diretto un film che non solo intrattiene, ma che sfida lo spettatore a confrontarsi con i propri pregiudizi e le proprie verità nascoste.

Ricco di tensioni sottocutanee, momenti di delicata poesia e un cast che lascia il segno, “Armand” esplora il lato nascosto dell’umanità con uno stile che resta con noi molto tempo dopo che i titoli di coda scorrono sullo schermo. Una delle opere migliori e più stimolanti del cinema europeo recente, “Armand” dimostra che anche nella soglia grigia tra innocenza e ambiguità, il cinema può trovare una verità universale.

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