RaiPlay, Catia Bastioli e la chimica verde sono i protagonisti della nuova puntata di “ConverseRai”
“Zucchero, scarti della frutta, ma anche del cardo e della cellulosa, tutto questo diventa un sacchetto di bioplastica”. Proprio Catia Bastioli ha contribuito al successo di questo prodotto. Ma non è finita: la sfida è ora rendere riciclabile tutto quello che questo può contenere. “La bioeconomia circolare sarà lo strumento per costruire una società moderna ed eco-compatibile”. Catia Bastioli, amministratrice delegata di Novamont, industria leader nel settore delle bioplastiche, è la protagonista della nuova puntata di “ConverseRai”, il programma sull’inclusione di Contenuti Digitali, disponibile su RaiPlay dal 14 novembre 2022.
La scienziata e imprenditrice “verde” racconta il suo impegno per le bioplastiche, il suo lavoro di ricerca e di produzione, per un modello industriale a misura di ambiente. Il problema della plastica, infatti, è l’uso e l’abuso che se ne fa. E diventa spontaneo immaginare che anche la produzione di bioplastiche non cresca a livello esponenziale, ma comporti un ritorno alla terra: «abbiamo contribuito a creare un sistema di raccolta differenziata attraverso i famosi sacchetti per la raccolta differenziata, biodegradabili e compostabili. Il senso è catturare più rifiuti organici che invece di finire in discarica attraverso questi sacchetti, possono riportare materia organica e trasformarla in compost di qualità, che a sua volta rigenera il suolo».
Secondo Catia Bastioli sarebbe importante intervenire con l’occupazione e lo sfruttamento del suolo per usi industriali, agricoli ma anche quotidiani. «Al 2020 le costruzioni umane hanno eguagliato e superato la massa di quello che la Natura produce di suo. In pochissimi anni abbiamo registrato un fenomeno esponenziale di riempimento del pianeta da oggetti dell’uomo che evidentemente crea un ulteriore impatto».
Un’intervista ricca di gradi di separazione, in cui ad ogni complessità ambientale bisogna rispondere con una soluzione ecosostenibile altrettanto complessa: «il mio motto, da sempre, è radici nel territorio e testa nel mondo. La globalizzazione senza radici ci ha insegnato che se non c’è al centro l’uomo e le sue comunità, tutto quanto diventa non resiliente. Quando siamo partiti eravamo in un momento in cui la chimica aveva mostrato il peggio di sé; e, quindi, la delocalizzazione sembrava l’unica soluzione. Noi siamo andati controcorrente, per mettere dei semi nella rigenerazione dei siti deindustrializzati e lì le radici nel territorio».