Pubblicato su Nature Communications studio dell’Università di Parma sui “quantum computer” Pubblicato su Nature Communications studio dell’Università di Parma sui “quantum computer”
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Pubblicato su Nature Communications studio dell’Università di Parma sui “quantum computer”

Pubblicato su Nature Communications studio dell’Università di Parma sui “quantum computer” Pubblicato su Nature Communications studio dell’Università di Parma sui “quantum computer” I computer e l’informatica quantistica non sono più un binomio confinato al lontano futuro. I primi prototipi di quantum computer sono già in azione e gli sforzi dei ricercatori sono ora rivolti alla ricerca di nuovi e sempre più performanti dispositivi per realizzare qubit. Il termine qubit è la contrazione di “quantum bit”, l’unità d’informazione dei quantum computer.

Proprio in questo solco si inserisce lo studio del team internazionale di ricercatori guidato dal gruppo di Magnetismo Molecolare del Dipartimento di Scienze Matematiche, Fisiche ed Informatiche dell’Università di Parma che da poco è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications.

 

Dal gruppo dei proff. Elena Garlatti, Paolo Santini e Stefano Carretta arriva dunque un’importante pubblicazione: i ricercatori dell’Ateneo hanno misurato sperimentalmente con i neutroni le vibrazioni cristalline e molecolari che “disturbano” i quantum bit, come detto, equivalente quantistico dei bit classici dei nostri computer e unità fondamentali dei quantum computer.

Come il suo analogo classico, il qubit può trovarsi in due stati possibili, lo stato “0” e lo stato “1”, nei quali codificare l’informazione in codice binario. L’eccezionalità di un qubit deriva dalla sua natura quantistica: un qubit può infatti trovarsi anche in uno stato sovrapposizione ed essere contemporaneamente sia nello stato “0” che nello stato “1”. La natura quantistica dei qubit apre dunque alla possibilità di ampliare enormemente le capacità computazionali dei futuri computer.

 

I nanomagneti molecolari, molecole che contengono ioni metallici legati a molecole organiche e che si comportano come nano-calamite, sono tra i candidati più promettenti per implementare algoritmi di computazione quantistica: tra questi spiccano molecole contenenti ioni vanadile, che possiedono lunghi tempi di coerenza anche a temperatura ambiente.

Un fattore rilevante nella perdita di coerenza di un qubit molecolare è rappresentato dalla presenza di vibrazioni molecolari e cristalline indotte dalla temperatura, dette fononi, che causano distorsioni della struttura molecolare. Queste vibrazioni “disturbano” lo stato quantistico del qubit, causando la perdita dell’informazione e compromettendo il calcolo quantistico. Nel lavoro appena pubblicato su Nature Communications, i ricercatori del gruppo di Magnetismo Molecolare hanno misurato per la prima volta i fononi di un qubit molecolare. I dati ottenuti rappresentano anche l’imprescindibile punto di partenza per lo studio dei meccanismi che causano la perdita di coerenza dei qubit. È stato inoltre  possibile stimare i parametri che quantificano l’efficacia di ciascun modo vibrazionale nell’indurre la de-coerenza del qubit molecolare.

Un risultato, questo, che apre nuove prospettive per lo studio della coerenza e per il design di nuovi qubit più performanti. Ma nanomagneti molecolari non significa solamente qubit. Alcune molecole possono infatti avere le caratteristiche tipiche dei bit classici e permettere la realizzazione di memorie magnetiche ad alta densità grazie alle loro dimensioni nanoscopiche. Anche in questo caso, l’interazione degli spin molecolari con i fononi rappresenta la fonte principale di “disturbo” del bit, che deve essere in grado di mantenere a lungo l’informazione codificata.

Questa importante ricerca sui fononi in qubit molecolari nasce nell’ambito dei progetti “SUMO – Scaling Up quantum computation with MOlecular spins” della call europea Quantera e del Progetto PRIN 2015 “QCNaMos – Quantum Coherence in Nanostructures of Molecular Spin Qubits”, che hanno unito le forze dei ricercatori di Parma con quelle dei chimici guidati dalla prof.ssa Roberta Sessoli del LAMM dell’Università di Firenze. Il risultato ottenuto è anche frutto della collaborazione con la dott.ssa Tatiana Guidi dell’ISIS facility del Rutherford Appleton Laboratory di Oxford (nel quale la prof.ssa Garlatti ha lavorato come visiting scientist grazie ad una borsa della Fondazione “Angelo della Riccia”) e con il Dipartimento di Fisica del Trinity College di Dublino.

Il link allo studio:

https://www.nature.com/articles/s41467-020-15475-7

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