Nuova luce per la cura della distrofia muscolare di Duchenne Nuova luce per la cura della distrofia muscolare di Duchenne

Nuova luce per la cura della distrofia muscolare di Duchenne

Nuova luce per la cura della distrofia muscolare di Duchenne Nuova luce per la cura della distrofia muscolare di DuchenneDa uno studio scientifico pubblicato sulla rivista EMBO Molecular Medicine, emergono nuovi elementi per la cura della Distrofia muscolare di Duchenne – una delle più frequenti forme di miopatia ereditaria, la cui conseguenza è un progressivo e irreversibile indebolimento della struttura e della funzione dei muscoli scheletrici.

La ricerca è a cura di un team dell’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pozzuoli (Cnr-Icb) , coordinati da Fabio Arturo Iannotti e dal responsabile del gruppo di ricerca, Vincenzo Di Marzo. Iannotti e i suoi collaboratori hanno dimostrato che la composizione e funzione di specifiche famiglie di batteri simbiotici (comunemente definiti “buoni”), fisiologicamente necessarie per il benessere dell’organismo, sono compromesse dalla patologia (una condizione definita come “disbiosi intestinale”), e come, pertanto, sia necessaria la produzione di specifiche molecole da parte dei batteri intestinali simbiotici, come il butirrato, utili a contrastare i processi infiammatori e muscolo-degenerativi.

“Molte pubblicazioni scientifiche dimostrano che la diversità e il ruolo del microbiota intestinale ricoprono un ruolo chiave nel controllo di numerose funzioni nel nostro organismo. Sebbene molti dei segnali chimici che sottendono la comunicazione tra il microbiota intestinale e i diversi organi e tessuti dell’organismo restino ancora da decifrare, sono proprio le connessioni dell’asse intestino-cervello e intestino-muscolo le maggiormente conosciute”, afferma Fabio Arturo Iannotti. “Nonostante ciò, il ruolo e il coinvolgimento del microbiota intestinale nello sviluppo e progressione delle malattie muscolari degenerative non era mai stato esplorato prima d’ora”.

Lo studio, inoltre, dimostra l’importanza delle molecole prodotte nel nostro organismo esclusivamente dai microbi intestinali (come il butirrato) nel regolare la produzione di una classe di molecole endogene, gli endocannabinoidi, la cui alterata funzione co-partecipa in maniera importante alla severità dei sintomi della patologia determinati dalla disbiosi intestinale.

Il sistema degli endocannabinoidi fa riferimento a un ampio gruppo di molecole che nel nostro organismo adempie a numerose funzioni attraverso la produzione di due principali molecole, ossia l’Anandamide (AEA) e il 2-Arachidonoilglicerolo (2-AG): “Sin dalla loro identificazione agli inizi degli anni 90 del secolo scorso è apparso evidente come entrambi questi mediatori giochino un ruolo di rilievo nel preservare la salute dell’organismo”, prosegue Iannotti. “Pertanto, alterazioni a carico della produzione e funzione degli endocananbinoidi sono state descritte in un ampio numero di patologie umane. Ed anche in questo caso il nostro gruppo di ricerca, conducendo studi scientifici pioneristici, è riuscito di recente a dimostrare come sia proprio l’endocannabinoide 2-AG a espletare un ruolo chiave durante la formazione e lo sviluppo del muscolo scheletrico sin dalle prime fasi di sviluppo embrionale e, inoltre, che la regolazione farmacologica degli endocannabinoidi potrebbe presto diventare una strategia terapeutica vincente contro la degenerazione muscolare innescata dalla patologia”.

Il raggiungimento dei risultati, che hanno portato a tale scoperta scientifica, è stato possibile grazie al supporto dell’Unità mista internazionale (Umi), un’istituzione fondata nel 2016 e coordinata scientificamente da Vincenzo Di Marzo per promuovere, attraverso il bilateralismo scientifico tra il Cnr e l’Université Laval in Quebec, Canada, lo studio dell’impatto della nutrizione e del microbiota intestinale nelle patologie umane. La ricerca ha visto anche la partecipazione del Dipartimento di farmacia dell’Università Federico II e il centro di ricerca sperimentale Charité Universitätsmedizin e Max Delbrück di Berlino.

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