L'intervista: Marco Vratogna, dalla lirica ad un classico di Sanremo

L’intervista: Marco Vratogna, dalla lirica ad un classico di Sanremo

Marco Vratogna, baritono, nato a La Spezia nel 1973, ha iniziato gli studi musicali nella sua città presso il Conservatorio “Puccini” e si è perfezionato sotto la guida di Leone Magiera.

Lo incontriamo nella data che segna l’uscita del suo primo brano fuori dagli ambienti lirici, “Io sono il vento”, datato 1959 e che è valso ad Arturo Testa il secondo posto a Sanremo.

Marco, raccontaci della tua carriera

La mia carriera è stata molto veloce. Ho la passione del canto sin da piccolo, anche perché mio nonno cantava per hobby, ma aveva voce da tenore. All’età di 26 anni ho deciso di recarmi a Modena per prendere lezioni di canto, ma dopo sei mesi ho perso interesse perché sentivo di non crescere più, ho preferito fare da solo.

Dopo un anno esatto ho conosciuto Luciano Pavarotti, che mi ha ascoltato in alcuni concerti che ho tenuto in club lirici. Dopo un altro anno, nel 2000, ho debuttato nello Stiffelio, opera del primo Verdi per nulla semplice, in un ruolo primario e incidendo il primo disco, che è stato considerato miglior disco live del 2001 di New York, con la critica dell’Università di Chicago.

E dopo il 2001?

A seguire ho debuttato in ruoli principali sia ancora in opere di Verdi, che di Puccini, Monteverdi e molti importanti autori. Dal 2009, poi, ho fatto aperture di stagione presso la San Francisco Opera, ho debuttato alla Fenice e con la Tosca alla Scala di Milano. Ho anche debuttato al Comunale di Modena, in cui sono tornato per le celebrazioni dei 40 anni di carriera del Maestro Pavarotti, che mi ha voluto espressamente al suo fianco. Ero l’unico giovane in mezzo a tanti big della lirica.

Nel mondo della lirica hai già un curriculum di tutto rispetto. Come ti è venuto in mente di ripercorrere le orme di Arturo Testa, tra l’altro nel 60esimo anniversario del suo secondo posto a Sanremo?

In realtà il brano mi è stato consigliato. Avevo voglia di realizzare un progetto che non fosse esattamente pop, ma che piuttosto avesse una forma teatrale. La musica infatti è strutturata in modo da esaltare il testo, descrivendo gli stati d’animo e mettendo al centro le parole più che la musica, che pure è tutt’altro che debole. Ho sentito subito il brano nelle mie corde, sebbene non conoscessi Arturo Testa. Solo dopo ho scoperto, documentandomi, la sua storia ed il fatto che fosse anche lui un baritono. E non è l’unica coincidenza: io sono nato il 14 agosto, lui il 15.

Credo che il risultato sia interessante e che racconti qualcosa di più rispetto alla narrazione consueta del pop.

In effetti rispetto alla versione di Testa, o anche quella di Mina dello stesso anno, si nota un taglio differente. Quella di Testa era, absit iniuria verbis, una “canzonetta” molto orecchiabile, mentre la tua ha una cifra diversa.

Esatto. Secondo me il taglio della mia “Io sono il vento” è chiaramente teatrale, racconta qualcosa. E’ un viaggio, fatto di una base classico-elettronica e di mille sfaccettature, colori che narrano questo personaggio, il vento appunto, che appare quasi come un supereroe. Sono molto soddisfatto del lavoro che è stato fatto.

Io sono il vento” sarà promosso anche attraverso le radio. Come pensi che si possa inserire in un contesto mai come ora “leggero”?

Credo che possa generare interesse e curiosità. Ascoltandolo non emerge solo la voce o la musica, ma una bella sensazione di sorpresa, si resta quasi sbalorditi. Il brano potrà avere uno sviluppo, sfuggendo ad ogni classificazione, ma sicuramente non lascerà indifferenti né deluderà chi lo ascolta e lo scopre.

Quale è, secondo te, il pubblico di riferimento di un brano del genere?

Credo che possa interessare qualunque tipo di pubblico. In realtà si presta anche ad operazioni di featuring, ad esempio con qualche artista rap, o persino ad essere remixato e finire in qualche discoteca. O diventare qualcosa di ancora più classico e parlare a quell’ambiente.

La tua “incursione” nel pop non sarà un unicum, anche se non significherà lasciare la lirica. Quali prospettive vedi per la tua carriera?

Non ho alcuna intenzione di abbandonare la lirica, che mi ha consentito di fare sempre ciò che volevo. Ho voglia di reinterpretare i ruoli che ho amato di più, migliorandoli e affinandoli per renderli più veri. Mi sento un attore prima che un cantante lirico, mi piace il palco, respirare l’odore del legno, le vibrazioni positive dell’esperienza dal vivo. Molti hanno paura, io scalpito ogni volta. Il pop è un divertimento e come tale sono determinato a proseguire, come in un appassionante gioco. Staremo a vedere cosa succederà.

Cosa pensi di chi ti ha preceduto in questo genere di esperienza, da Pavarotti a Bocelli, e chi invece utilizza il biglietto da visita da tenore per accreditarsi nel pop, come ad esempio Il Volo?

Pavarotti ha fatto ciò che doveva fare, Bocelli ha ottenuto uno straordinario successo e chapeau a lui. Su Il Volo, non posso certo giudicare, io faccio il cantante lirico mentre loro sono cantanti pop. Non posso che dire bene del loro lavoro e del loro successo in tal senso, mentre non mi sento di poterli valutare dal punto di vista lirico. Sono due cose radicalmente differenti.

Qui è possibile ascoltare il brano e scaricarlo.

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