La luna storta di Francesco Tozzi – Sole. Cuore. Amore.
Sole. Cuore. Amore.
Ripropongo qua, con un minimo di tagli, l’intervista rilasciata a “cavalli&segugi”, mensile il cui il cui direttore editoriale è mio zio Mario che, vedendomi girare per casa, inoperoso, dopo un confronto telefonico con mia madre, ha deciso di creare un’apposita rubrica dal titolo “che teatro fa?”
La Rivista e l’intervista (curata da Ciccio Baiano, stagista apprendista della testata) potete ancora trovarla nelle edicole.
D: Signor Tozzi…
R: Prego. Francesco. E diamoci del tu, siamo d’età, come si suol dire.
D: Davvero?
R: (infastidito, dopo una pausa) Sì.
D: Una stagione intensa come non mai, per lei…voglio dire: per te. L’Arginata, Il premio a Costellazione Vicinelli, e adesso…
R: L’operazione di appendicite.
D: Ah. Questo tuo zio,ehm, voglio dire: il direttore non me l’aveva detto. Com’è andata?
R: Benissimo, una delle poche volte in cui mi sono sentito davvero libero. Un’operazione all’anno ci vuole, per riprendere le forze.
D: Una grande dimostrazione di coraggio!
R: Il coraggio, come dice Manzoni, uno non se lo può dare. Però può andarselo a cercare. Il vigliacco, vedi, Ciccio caro, non è uno che non agisce ma uno che non cerca, che si mette di spalle alla vita, costantemente danneggiando sé e gli altri.
D: Sì. Ma torniamo a noi: se ti dico teat…
R: Stiamo parlando di Teatro, mi pare. Vorrei far capire alla gente che tra Teatro e vita non c’è differenza. E che non serve fare Amleto davanti a parenti e amici, magari nel mese di Maggio, e poi uscire dalla sala e continuare a vivere solo per bere e mangiare.
D: Sì…Difatti eccoti al lavoro sull’ennesimo adattamento di Amle…
R: Diciamo che per l’ennesima volte sto facendo un favore ad un amico. Anzi, a due amici. Sento che le persone hanno bisogno di me, della carica di energia che posso trasmettere con le mie proposte; ma non posso nemmeno permetterli di vampirizzare la mia vita.
D: No, certo. E quando andrà in scena…
R: Capisco benissimo che ognuno si aspetti sempre qualcosa dagli altri. È il do ut des cui siamo stati abituati più o meno dalla famosa notte dei tempi; ma a lungo andare lo trovo pretenzioso, prepotente.
D: Ehm…
R: C’è una magia naturale che ognuno di noi porta dentro sé; e poi c’è, più o meno nascosta negli angoli reconditi del nostro corpo, una piccola macchia nera, disponibile a sviluppare, a far prendere carne al primo concetto o atteggiamento fascista ci capiti vicino. A sviluppare (più o meno) questa macchia, questa ghiandola, è la certezza che ogni nostra piccola sofferenza debba, in qualche modo, essere sempre risarcita dagli altri, da un generico altro.
Da qui nasce la famigerata pretesa.
D: Spero non pretenda che ti capisca (ridacchia). Sono concetti…
R: …Difficili, lo so. Però siamo qui a parlarne.
D: Si ma questa è un’intervista…
R: Appunto. È un dialogo.
Pausa
D: Non esageriamo
R: Perché no?
D: Si può sapere che pretendi da me?! Che ti ascolti? Non ho tempo, capisci?
R: Perché?
D: Perché anch’io devo farmi ascoltare. Tutti dobbiamo farci ascoltare da qualcuno.
R: Bene. Parlami. Siamo qua.
D: Voglio scegliere io! È chiaro?! Perché me lo merito, perché guadagno 250 euro al mese per intervistare gente…
R: …Nipoti, zii e parentame vario.
D: (piagnucolando) È la mia rubrica. Decido io. Decido io cos’è il Teatro, decido io cosa voglio sapere. Mi sono preparato così bene…(si calma)
Allora, se ti dico “Teatro”. Dimmi 3 parole che ti vengono in mente.
R: Sole. Cuore. Amore.
D: Oh! Benissimo.
R: Ti piace?
D: Ci faccio il titolo.