La luna storta di Francesco Tozzi – “R”
R.
R. è meravigliosa, una donna stupenda: ha occhi e capelli neri come il fondo di un pozzo, dove l’acqua del giorno brilla e riluce muovendosi, e dentro cui il mio sguardo si perde; ha una schiena stupenda e quando mi stringe fra le sue braccia (ed è lei che mi stringe, non il contrario, ci tengo a dirlo) fa quasi male.
Sono innamorato di R.; e anche lei è innamorata di me.
La cosa dura da qualche tempo: io faccio lunghi viaggi in macchina – abitando distanti ci troviamo sempre “a metà strada” – lei racconta cazzate al suo compagno.
R. non è come le altre; le altre – anzi – proprio non le sopporta, non le capisce.
“Non capisco tutta questa voglia di emanciparsi, di “stare sopra”, moralmente parlando. Io lo faccio da una vita, ma non mi sento niente di più che me stessa. E’ la mia vita.”
“Tu. Altre no. Altre pensano…”
“A cosa?!” R. mi interrompe sempre, e più che parlare ruggisce “Ad accontentare gli altri, questo pensano. Io voglio solo accontentare me stessa. Io penso a me. A me e basta”
Io invece penso alle mie colleghe (più o meno femministe): ai libri che mi hanno fatto leggere, alle cose che hanno tenuto a farmi capire. Al consenso, all’assenso, al dissenso, al nuovo libro della Marzano. Penso a un’altra collega che mi “denunciò” come molestatore in un’iniziativa web di qualche tempo fa.
Chi sono io? L’uomo solo, lo scrittore cinico, repubblicano e anti-marxista (veementemente stirneriano) che lotta contro il già detto e il già fatto? O il giovane innamorato che prenderebbe aerei su aerei per incontrare una donna più anziana di lui, che tradisce il suo uomo e però, quando ci vediamo, mi dice: “se esci con altre non me lo dire”?
R. è accanto a me; tiene le sue mani tra le mie e il capo sul mio cuore “senti come batte” mi dice.
“E’ per via della grappa” rispondo io.
“Lo voglio sentire meglio” dice. E’ solo l’ennesima scusa per spogliarmi. La lascio fare. La amo.
“Tu sei…sei…sei proprio eterosessuale” mi dice.
Penso alle vecchie riviste anni ’50 che una collega mi ha fatto sfogliare, tempo fa. Quelle riviste dove gli uomini si permettevano di dare alle donne consigli di vita e di comportamento. Penso ai commenti odierni – compreso il mio – sotto gli screenshot di quelle pagine dell’età della pietra.
Provo a mettere una mano in bocca a R.; lei mi molla un ceffone.
“Te l’ho detto cento volte che mi dà fastidio”
“Ahia” dico io.
“Ti ho fatto male male?”
“Sì”
“La prossima volta impari. Ti uccido, se mi fai qualcosa che non voglio. Ti uccido, lo giuro su Dio”
La guardo fisso.
“Beh?!” mi chiede lei.
“Sto arrivando in fondo al pozzo” le dico “ancora qualche metro”
“Che occhi che hai” risponde lei. “Che cazzo di occhi, fRa. Un lupo, sei”
Tra un mese, penso, chissà come saremo. Dove saremo, con chi? A fare che?
Vorrei che le relazioni di tutti fossero dei lunghi fili tesi dove, a turno, camminiamo tenendo un lungo bastone in orizzontale, col traguardo, l’arrivo, che non si vede, sempre in ascolto, sempre attenti a tutto; vorrei sentirla respirare, una relazione – la mia, quella degli altri – vorrei quasi sentirne l’odore.
Vorrei che, dall’altra parte, o accanto a me, ci fosse Qualcuna che porta nella vita, contro tutto e contro tutti, quello che pensa; che fa quello che fa perché “è la mia vita. la mia vita”.
Come R.