La luna storta di Francesco Tozzi - Quel mare nero La luna storta di Francesco Tozzi - Quel mare nero
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La luna storta di Francesco Tozzi – Quel mare nero

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Quel mare nero

Onestamente non so (di preciso) cosa spinga una donna di 65 anni a rincorrere un borseggiatore per investirlo con il SUV (e a passarci tre volte sopra); non so cosa spinga un uomo di mezza età a confessare un omicidio di fronte alle telecamere di un programma generalista.

Sono certo, però, che tra i grandi mali del nostro Tempo siano comprese, senza ombra di dubbio, l’esasperazione e la scarsa propensione a comprendere, frequentare la socialità per sfogarsi, ritrovarsi, confrontare i nostri guai (esteriori e/o interiori) con quelli degli altri.

Siamo soli, insomma, e c’è a chi questa situazione non dispiace: sguazzare e diguazzare nel mare chiuso di noi stessi pare sia diventato uno sport assai più praticato del padel, con la differenza che il secondo (così competitivo, a suo modo violento e classista) non conduce certamente alle conseguenze tragiche citate nell’incipit di questa riflessione.

È un’umanità, la nostra, totalmente organizzata per dar ragione alla canzone 2030 degli Articolo 31 (ricordate? Ognuno è chiuso nella propria stanza, l’intolleranza danza, non c’è speranza). Dunque, che fare?

La rivoluzione, signori miei: una rivoluzione copernicana che parta da noi stessi, una guerra contro gli oppressori, anche quelli piccoli, per dirla con G.C.Abba; ma anche contro gli oppressori “che non si vedono”, i quali, mascherati da abitudini e riti della società moderna, rischiano di condurci dritti verso il burrone, o la pattumiera (fate voi).

Continuare a parlare e far parlare; ma non di sé, attenti bene, come si è usi fare oggi; bensì del mondo, di quello che succede, che ci succede intorno. Senza fermarsi mai, anche a costo di dire sonore baggianate; ma farlo live, attraverso un dialogo tra generazioni diverse, convinti che la Storia non sia finita proprio per niente.

Perché, se come dice Dario Fabbri, “la Storia non la fanno le collettività ma i singoli”, la collettività ha il dovere, quantomeno, di starci, dentro la Storia. Nella maniera più partecipativa (e cioè intelligente) possibile, magari.

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