La luna storta di Francesco Tozzi - Quando l'ho vista La luna storta di Francesco Tozzi - Quando l'ho vista
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La luna storta di Francesco Tozzi – Quando l’ho vista

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Quando l’ho vista

Quando la vidi camminavo veloce verso il bastione: alzai gli occhi, lei passava lungo il camminamento all’altezza dell’arco, sopra la vecchia sede del CAI.

Al telefono ci eravamo detti di tutto; dubitavamo, però, che ciascuno di noi due facesse sul serio: sospettavamo di improbabili agguati, cose così.

Tuttavia, avevamo deciso comunque di presentarci a quell’appuntamento.

Ci siamo incontrati sulla scaletta poco lontano dalla fontana del cinghialino. Ci siamo

baciati subito. Lei era BELLISSIMA.

Soprattutto era donna. Avevamo 16 anni.

Lei incuteva una soggezione pazzesca: tutto era grande in lei, persino la treccia lunga, nera, e gli occhi, e la sua bocca carnosa, le cosce e i seni stretti nel bustino. Era colorata. E poi profumava.

Eravamo giovani, giovanissimi, forse io non avevo ancora i peli sul petto.

A me, certe consapevolezze, certe sensazioni, arrivano sempre in differita. Forse va così per tutti, a quell’età; per questo è importante avere accanto qualcuno più grande che ti faccia notare queste cose che ti paiono frivole, insignificanti (soprattutto se hai un carattere come il mio).

Qualcuno che ti dica: “oh, questo è stato il tuo vero primo bacio, mica quello con la tipa nei sotterranei della scuola; ma lo vedi cosa ti scrive? Sai leggere sì o no?! Che bella, poi. Viene con te per quale motivo? Spiegami.”

E giù a ridere.

Penso a R. oggi più che mai.

Tutte le volte in cui, davanti a me, esplode la festa e il delirio, e io, povero asino, resto in disparte a guardare tutti e tutte a loro agio col disimpegno e la vita, stretti dentro le loro magrezze fiere e le loro concrete certezze.

Restiamo sempre i soliti, dalla nascita alla morte, e raccogliamo ciò che possiamo con gli strumenti logori che ci fornisce il carattere.

Ci illudiamo di cambiare. Possiamo solo migliorare, sperando in un universo che si attagli sempre più alle misure strette dei nostri limiti.

Dentro noi resta il ricordo di quel pomeriggio di tanti anni fa, quando con piccoli strumenti tentammo la scalata a un infinito a portata di mano.

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