La luna storta di Francesco Tozzi - Nella città dei fiori La luna storta di Francesco Tozzi - Nella città dei fiori
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La luna storta di Francesco Tozzi – Nella città dei fiori

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Quasi in concomitanza con l’epilogo di Sanremo, più o meno nel medesimo momento in cui Mara Venier stava intervistando – per il consueto special di DomenicaIn – i cantanti in gara, YouTube ha cominciato a consigliarmi una varietà di video riguardanti la morte di Luigi Tenco, che sconvolse il clima del Festival 1967.

Lì per lì non ho dato peso alla cosa; poi però ho pensato alcune considerazioni di cui vorrei rendervi partecipi.

Sanremo 2025 non verrà ricordato certo per l’immensa qualità delle proposte musicali, anzi.

Sul pezzo del vincitore mi pare di non incorrere in scomuniche varie dicendo che è di una banalità sconcertante (Savinio l’avrebbe definita dialettale, io propenderei per il l’aggettivo sanremese).

Ma non è questo il punto. Credo di poter affermare, senza tema di smentita, che la kermesse canora nazionale per eccellenza abbia dato (come al solito) vita a sentimenti e considerazioni tutt’altro che edificanti. Non è una novità, d’accordo, però penso che su questo dovremmo riflettere tutti.

Nel 1967, nonostante il suicidio di Tenco, il Festival continuò. Proseguì col placito di tutti, in primis dei cantanti, e anche perché c’era il rischio concreto di fermare una macchina che alimentava un circuito economico troppo importante.

Si parlò molto di un gesto eccessivo, fuori fuoco, della reazione esagerata di un artista che, certo, aveva subito uno smacco, ma in fondo non così grave da giustificare una decisione così verticale.

Oggi penso che, all’epoca come oggi, non abbiamo davvero capito nulla di quel suicidio; abbiamo anzi cercato di buttare la palla in tribuna parlando di dietrologie e depistaggi vari, altre versioni, cangiando un dramma vero nel solito giallo di provincia (non me ne vogliano gli appassionati del genere), facendo una grande, inutile caciara.

Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale e ad una commissione che seleziona “La rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno.
Ciao.
Luigi

A questo Sanremo così apparentemente vuoto di polemiche ho visto succedere di tutto. Partendo dalla fine e andando a ritroso: ho sentito un giornalista dire a una cantante “ti devo dire che nei sondaggi RAI sei arrivata ultima dietro Marcella Bella” e lodare subito dopo un cantante famoso che non aveva avuto successo esattamente come la sua vittima di cui prima; ho visto delle donne capaci e di grande esperienza televisiva essere trattate (dagli autori e dai conduttori) come delle vallette, anzi, delle veline; ho visto il tentativo di un artista di giustificare la sua scelta con ragioni profonde venire sbeffeggiato dai “padroni di casa” a colpi di selfie e battutine stupide; ho letto critiche gratuite e offensive da parte di sedicenti esperti del settore e/o addetti ai lavori, che definivano “furbetto” un artista senza conoscerlo personalmente ed elogi sperticati senza apparenti motivazioni.

Ecco perché, a mio parere, Tenco se ne volle andare. Perché le canzoni, lui lo aveva capito ma la gente ogni anno sembra far finta di niente, non contano. Sono altre le cose importanti.

Ad alimentare questo sistema siamo tutti noi, sempre gli stessi (direbbe Quasimodo: quelli della pietra e della fionda), gli stessi che nel ’67 fecero riportare il cadavere di un artista là dov’era stato tolto per fotografarlo; gli stessi che parlano senza sapere nulla di cosa stia veramente sotto il concorso nazionale canoro più importante d’Italia; gli stessi che gridano allo scandalo “perché non c’era nemmeno una donna nella terna finale” dimenticandosi che, appena un anno fa, il Festival l’ha vinto proprio una donna, assistita dalla manager italiana più importante e più potente che ci sia (la stessa del vincitore di questa edizione).

Quando si mettono in gioco, si mettono in gara, in competizione, i propri sentimenti – sentimenti a cui si crede – si può correre il rischio di avere delle reazioni magari segretamente dilatate di fronte ad un’eventuale sconfitta, più morale che non professionale.

[Fabrizio De André sulla morte di Tenco]

E’ la scatola che non va bene, insomma, non il suo contenuto. Non puoi, del resto, ficcare la meraviglia dove non entrerebbe nemmeno un cavatappi pieghevole.

Restano gli artisti: coloro cioè che continuerebbero a fare quello che fanno nonostante tutto, così come un idraulico continuerebbe ad aggiustare tubi pure se tutta la sua vita andasse a ramengo: su come lo fa non è giusto, umano, sano, disquisire. Non è utile, soprattutto, per nessuno. Meno che mai per noi stessi. Ma sarà molto difficile capirlo e/o farlo capire. Perché, proprio come il Festivàl, certi vuoti persisteranno sempre. Abissi che l’Uomo tenterà sempre, è il suo destino, di riempire con paletta e secchiello, mentre la gente muore (dentro e fuori).

Possiamo tutti contemplare il peggio tentando di migliorarci.

Signori benpensanti
Spero non vi dispiaccia
Se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
Soffocherà i singhiozzi
di quelle labbra smorte
Che all’odio e all’ignoranza
Preferirono la morte.
[Fabrizio De André – Preghiera in gennaio]

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