La luna storta di Francesco Tozzi – Lettere a una conosciuta
Lettere a una conosciuta
Per più di un mese ha scritto lettere (lettere vere, quelle dentro la busta col francobollo, ve le ricordate?) a una persona che non mi ha mai risposto.
A un certo punto mi sono detto: “forse sto esagerando, forse gliene sto mandando troppe”.
Tempo dopo ci siamo risentiti e mi ha confermato quanto pensavo; ho chiesto scusa e l’ho buttata in caciara, poi però ho capito che quella persona stava male.
Quando dico l’ho capito non mi riferisco solo al fatto che me l’abbia detto.
Ho sentito la sua voce, e ho provato un brivido.
“Posso fare qualcosa per te?” le ho chiesto.
Mi ha risposto.
Quello della depressione di noi millennials sui 35 è un tema di cui nessuno parla. Nes-su-no.
Siamo un target ignorato da tutti (eccezion fatta per Amazon o Pornhub), un folto gruppo di donne e di uomini stretti fra i boomer e la generazione Z intenti ancora a capire da che parte stare, pieni di paura che le scelte che facciamo, qualsiasi esse siano, possano compromettere la nostra esistenza in modo letale.
A questo dilemma, mortale come e più del canto delle sirene, hanno tentato di dare una risposta in tante/i di noi M35 (abbrevio), nei modi più disparati – senza minimamente curarci di noi stessi nel frattempo, ovviamente.
Dopo aver passato buona parte della nostra prima giovinezza a crederci altro da noi compiendo quindi scelte non organiche, oggi la rubrica del mio telefono somiglia a una corsia d’ospedale: “chiamare Tizio”; “richiamare Caia”; “mandare un messaggio a Pippo”; “inviare proposte a Minnie”.
Lo faccio perché io mi sento un sopravvissuto; ma non so se sia effettivamente così.
Allora, seppur ferito non so dove, sentendomi ancora la forza (dentro) per camminare, mi aggiro per quel campo di battaglia che è il nostro presente, chiamando a gran voce tutte/i.
So che il mio è un gesto quasi inutile; ma mi sentirei un uomo da niente se non provassi a farlo.
Non voglio dare colpe, la mia è una vera e propria richiesta d’aiuto.
Noi millennials siamo la generazione più depressa di sempre, vittime di noi stessi: preda di deliri narcisistici indotti da una generazione precedente, che non ha saputo far altro che blandirci per usarci meglio, e ignorati (giustamente) dalle generazioni successive perché o troppo vecchi, o troppo poco aggiornati, o troppo sicuri dei nostri mezzi – e vorrei vedere, scusate eh, dopo anni anni di gavetta continua a ininterrotta, quasi eterna.
Navigare bisogna, non vivere diceva Pompeo Magno; e questa pare ancora l’unica nostra ancora di salvezza. Lavorare. Lavorare. Lavorare. Ma dove? In che modo? Con chi? Perché?