La luna storta di Francesco Tozzi - L'edificio delle idee La luna storta di Francesco Tozzi - L'edificio delle idee
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La luna storta di Francesco Tozzi – L’edificio delle idee

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L’edificio delle idee

Accadde molto tempo fa. Si era a Siene, in Egitto. Eratostene, con un semplice pezzo di legno, misurò la circonferenza della Terra. “232.000 stadi” disse, e tutti si fidarono. A chi chiedeva “quanto è larga la terra?” si rispondeva sempre alla solita maniera. D’altra parte l’aveva detto Eratostene, mica Ciccio Riccio.

Arrivarono i romani, secoli e secoli dopo, e dissero: “No Era, hai toppato. La Terra è molto più piccola: 188.000 stadi.” “Possibile?” “Lo sapremo ben noi, che la Terra l’abbiamo conquistata quasi tutta?!”.

Nada. Padre Tempo dimostrò che quel bomber di Eratostene, armato solo di gnomone, ci aveva visto giusto. I Titani non c’erano più, gli déi non c’erano ancora, ma l’Uomo e il suo pensiero sì. Ed entrambi avevano risposto: presente.

Ora, mi chiedo: perché mai una qualsiasi idea deve essere a un tempo nuova e valida? La risposta è semplice: perché a proporla è un soggetto egemone, dalla volontà (intrinseca al suo status) autoritaria e totalizzante. La volontà implicita, ma non troppo, di certi soggetti, è magnificamente esplicata dalla battuta di Armande ne “Le intellettuali” di Molière:

Noi faremo le leggi, e noi le applicheremo;

Opere in versi e in prosa, giudicheremo tutto;

Fuori dal nostro gruppo, non ci saranno ingegni;

Chi sta per conto suo lo ridurremo a zero,

E saremo noi stessi gli scrittori che contano.”

Da ciò derivano buona parte dei nostri problemi e delle cause per cui – ma questa è una mia opinione – l’Occidente sta progressivamente perdendo la propria autonomia e autorevolezza filosofica.

Una lunga asta si protende dalla Grecia presocratica all’impero giapponese, dal frammento all’Haiku. È una pertica composta dalla necessità di impressionare più che di descrivere.

Descrivere è un’attività autoriferita; impressionare, al contrario, è un verbo pratico, agente, in qualche modo anche onomatopeico, che rende il pensiero, nella sua forma frammentaria, colorato, costruttivo, attivo e dialogante.

Il pensiero però è pertinenza di tutti, anche degli egemoni in malafede; e dato che esso si impone sempre nei soliti modi, ecco tramutarsi il frammento in struttura, la struttura farsi progetto, il progetto imporsi in ipse dixit: non è più il pensiero a contare ma chi lo pensa. Il pensiero si fa corpo, ma nel senso sbagliato.

È una riflessione la mia? Ovvio. Il sottoscritto non pretende certo di convincere nessuno.

Tornando al Giappone, resta per me imprescindibile la frase di Giorgio Armani circa l’architettura nel paese del Sol Levante: “la buona fattura di un palazzo, la’, non si misura dalla capacità dello stesso di resistere a qualunque scossone; ma dalla possibilità che quell’edificio ha di reagire a tutti i cambiamenti che il Tempo impone”.

Suona come una mission impossible; ma dato che, per dirla con Pound “Im westen nicht neues”, urge (forse) appellarci a una riflessione pratica, a contatto con la vita, e non più con le idee.

I nostri strumenti logori. Il mondo che ci circonda.

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