La luna storta di Francesco Tozzi - Il Tempo La luna storta di Francesco Tozzi - Il Tempo
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La luna storta di Francesco Tozzi – Il Tempo

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Il Tempo

Vorrei scrivere un libro: qualcosa che parli di noi, una piccola storia di provincia, una vicenda di contrapposizioni politiche, avventure alla Don Chisciotte, eccetera. Il tutto ambientato dopo il 25 luglio 1943.

Partirei dalle strade, intendo dalla maniera di farle, confrontando quelle di asfalto con quelle di sassi, parlando di quanto tempo occorra, per svilupparsi, a qualsiasi progetto, o idea.

Insomma, del fatto che questo famoso o famigerato Tempo sia fondamentale, come tutte le cose che vituperiamo; e di come l’essere umano, al contrario, continui a dare importanza ad altro – vedi le idee o i suoi simili, specie se più importanti di lui.

Non è certo questa la sede per dare il via all’ennesimo dei miei sondaggi, ma vorrei tanto interpellare i miei quattro gatti di lettori sulla loro concezione di Tempo: come la vedete?

Personalmente, immagino un lungo tubo di gomma trasparente, pronto ad essere riempito con qualunque cosa: accanto a noi, e al tubo, gli altri: tutti vestiti di una qualche uniforme, più o meno sgargiante, tutti a darci consigli, diversi, a seconda dell’uniforme, su come riempire il tubo. Tutti che ci guardano.

Questo è il tempo(?).

Torniamo al libro: la trama è ininfluente; ciò che conta, per me, è rintracciare l’intracciabile, andare alla ricerca di quello che non c’è, sempre e comunque. Perché non possiamo perdere la vita dietro visioni chiare, e quindi banali, obiettivi palesi, facili; dietro letterature, o arti in genere, che ci raccontano cose del tipo l’erba è verde, o che ce le spiattellino così, pretendendo l’applauso.

Perché c’è sempre il famigerato Tempo a mettersi in mezzo. E allora, più che fare come Proust, e comporre un armadio, un archivio di ricordi attraverso la memoria, dovremmo prendere le armi e costruirci una nostra personalissima Iliade, piena di obiettivi da affrontare violentemente, onestamente, senza fare sconti a nessuno, meno che mai a noi stessi. E tracciare sulla nostra personalissima arma, tacche e scheggiature. Perché questa filosofia del battagliare, così demodé ai giorni nostri (intendo battagliare con noi, con quello che siamo e quello che vogliamo), è qualcosa da recuperare, qualcosa per cui, forse, varrebbe la pena di puntare tutto, sempre, per restare davvero vivi.

Per sentirsi il Tempo, quel famoso, famigerato Tempo, tutto addosso, dentro, come un terribile Alien, e lottarci ancora, e così ruzzolare per non fare muschio, tenendo sempre e comunque gli occhi puntati sulle inevitabili gerarchie che reggono il mondo di noi mortali, sugli dei che, in qualche modo, esistono sempre, ancora e per sempre, dentro e fuori di noi, e ci sono amici e nemici per ragioni a volte imperscrutabili.

Dei grandi e piccoli, Giove e i Lari, Giunone e i Penati.

Contro il Tempo, per sentire il Tempo.

Quel famoso, famigerato Tempo.

Per davvero.

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