La caotica scrivania di Lorenza – We Love Rock ’n Roll (e non solo)
We Love Rock ’n Roll (e non solo)
Avvio il computer. Apro il mio programma di scrittura preferito. Collego gli auricolari, lancio Spotify, playlist generica «brani che ti piacciono», là dove aggiungo senza nessun ordine le canzoni che via via, nel corso dei miei vagabondaggi musicali fra generi ed epoche, per qualche motivo mi hanno colpito: solo quando ho terminato questo rituale, posso iniziare a scrivere.
È così da sempre. Ho studiato, lavorato, amato, allevato i miei figli, vissuto gioie e lutti costantemente accompagnata dalla mia personale colonna sonora.
Spesso ho sollevato lo sguardo dal libro che stavo leggendo, o dal foglio dove cercavo di trovare un senso ai miei confusi pensieri, fermandomi incantata ad ascoltare una frase musicale o i versi di una canzone che in quel preciso momento sembravano misteriosamente rispondere alla mia anima.
Ho ballato da sola nella mia camera e ho cantato in coro insieme a migliaia di persone durante un concerto. Mentre guidavo verso un appuntamento di lavoro o di studio, ho accordato nel mio cuore la musica che stavo ascoltando al paesaggio che scorreva davanti ai miei occhi di là dal vetro.
Non ho mai avuto pretese da esperta. So a malapena suonare qualche nota incerta al pianoforte e le mie pubbliche esibizioni canore sono solo quelle del karaoke fra amici. Non sono una giornalista, una critica, una musicologa. A volte, quando leggo la stampa specializzata, provo un grande imbarazzo per la mia ignoranza di storia, generi, influssi incrociati, finezze interpretative, arrangiamenti e produzioni. Mi informo, questo sì. Non di rado, provo a uscire dalla mia comfort zone e cercare emozione lontano dagli ascolti più sicuri e, almeno per me, più scontati.
La musica: la chiave della mia stanza segreta, la via per la mia libertà. Talvolta, la mia salvezza. Non mero intrattenimento, anche se va benissimo goderne in modo leggero. Sempre, comunque, la scintilla che accende la memoria, la mia personale macchina del tempo: il primo concerto, le discoteche fumose della mia giovinezza, la corse in auto con gli amici, l’amore della mia vita, io che ballo in salotto tenendo in braccio i miei figli, le lacrime della perdita, la gioia di ritrovarmi.
Sì, volevo proprio scrivere questo elogio della musica, di tutta la musica, e dei tanti compagni di avventura che ho incontrato lungo la strada: il ragazzino quindicenne emozionato per il suo primo concerto di Springsteen; i tre matti sconosciuti che a Firenze, sotto un vero e proprio diluvio (sempre il Boss), ballarono sfrenati con noi sulle note di «Who’ll stop the rain?»; il giovane americano che continuava a ripetere con aria sognante «amazing!» durante l’esibizione di un vecchissimo, quasi mitologico, Dylan; il blues dal vivo, vibrante ed emotivo, della Treves Blues Band, e la forza dirompente dell’armonica del «Puma di Lambrate», Fabio Treves; l’umanissima, ed evidente, gioia di Robert Smith nel ricambiare dal palco l’affetto del suo pubblico più fedele; l’anonimo e grigio impiegato trasfigurato di botto in un adolescente adorante dalle primissime note dei Rolling Stones in concerto; i cori che accompagnavano Robbie Williams e la sua istrionica fragilità squadernata senza pudore davanti ad un pubblico estatico; I «Natali Zen» con gli Zen Circus, fra musica, chiacchiere e abbracci, con i musicisti e con il gruppo dei fan più sfegatati; le dolcissime serate estive trascorse davanti al «mio» mare, al «Gattarossa Oltrebar davanti alle Isole», un locale che ora non esiste più, ma che al tempo era crocevia di musica straordinaria ed emozioni che non si dimenticano… e potrei continuare.
Ma soprattutto ricordo un’adolescente malinconica e solitaria, che non sapeva bene quale fosse il suo posto nel mondo, e forse si sentiva davvero «come una pietra che rotola» mentre le sue certezze si sgretolavano, gli amici scomparivano, gli adulti erano troppo preoccupati dei loro casini per accorgersi della sua angoscia: ma poi arrivava la musica, e subito il quadro si ricomponeva, magari solo per un attimo, ma era l’attimo perfetto che le diceva: «Tieni duro, tornerò, basterà accendere lo stereo».
(Questo pezzo l’ho scritto accompagnata da Counting Crows ed Editors. Voi potete leggerlo scegliendo qualunque musica di sottofondo: la «mia» musica, la «vostra» musica, la magia sarà sempre la stessa).
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