“La Biblioteca dei Sentimenti”, la montagna maestra di vita
Ospiti il conduttore Massimiliano Ossini e la scrittrice Silvia Avallone
Non esiste una definizione unica di “montagna“. Su questo dato sono d’accordo i più illustri studiosi, come Derek Denniston, Lucien Febvre, Raoul Blanhard. A seconda delle varie necessità, si definiscono diverse definizioni per il concetto di montagna: convenzionale, tradizionale (o toponomastica) e statistica.
Per ciò che riguarda le definizioni convenzionali si ricorda che i requisiti indicati da esse, ossia una certa altezza (almeno 400 o 500 o 600 metri, secondo le convenzioni) ed un aspetto almeno in parte impervio, devono essere soddisfatti contemporaneamente. Infatti un’area della superficie terrestre posta al di sopra delle altezze suddette, ma priva di asperità del terreno, viene definita altopiano.
Riguardo alla definizione tradizionale dobbiamo tener presente, nonostante le attuali convenzioni, che fin dalle epoche più antiche la parola “monte” evoca nella mente dell’uomo un insieme di idee che prescinde dalla possibilità pratica di misurare l’altezza dei rilievi. Dunque quando l’uomo ha dato nome alle alture che lo circondavano, ha usato la parola monte in base alle idee che esse gli evocavano, come ad esempio la difficoltà di raggiungere la cima, la vicinanza al cielo, l’inaccessibilità di alcuni versanti.
Nella toponomastica italiana quindi sono detti “monti” alcuni rilievi aspri e dal carattere impervio, anche se non raggiungono l’altezza di 400, 500 o 600 metri; sono inoltre chiamati “colli” anche rilievi superiori a 600 metri, quando questi non hanno pareti rocciose o anche forme dirupate.
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