Intervista: Zoizi e il suo inno generazionale “Odore”, tra romanticismo e ribellione
Zoizi abita a Modena ma è nato a Tirana. Albanese d’origine, ama definirsi “100% italiano”. Il 13 marzo è uscito il suo ultimo singolo e lo scopriamo insieme a lui in questa conversazione.
Tu sei nativo di Tirana, ma sei arrivato in Italia praticamente subito. Cosa conservi delle tue radici?
Molto: la mia famiglia è albanese, in casa parliamo un “albanese misto italiano”. Ad esempio, mia madre quando è tranquilla parla italiano, ma quando si incazza passa all’albanese, a volte parla albanese e io rispondo in italiano….
L’Albania è un Paese molto piccolo e fino a qualche anno fa è stato martoriato dalle dittature, una situazione molto complicata. Ho la fortuna di avere i nonni vicino casa e questo mi ha fatto crescere ascoltando storie davvero assurde, che hanno forgiato la crescita del mio carattere.
Sono cresciuto in Italia e per questo mi sento italiano al 100%, pur con delle origini diverse: questo è davvero figo, molto figo, quella tra Albania e Italia è sempre stata una bella unione.
Come hai vissuto l’uscita del premier albanese che, oltre ad aver inviato in Italia medici e infermieri per aiutare nell’emergenza Covid-19, ha avuto parole importanti nei confronti del nostro Paese?
E’ una cosa bella da sentire per noi italiani ed estremamente vera, perché in realtà l’Albania ha sempre adorato l’Italia. Quando i miei genitori erano piccoli, le prime radio e TV arrivavano dall’Italia e i canali erano solamente quelli italiani. In Albania tutti parlano italiano correntemente, per gli albanesi l’Italia è sempre stato il sogno: invece del sogno americano, in Albania abbiamo quello italiano e per questo l’Italia ha sempre avuto un posto speciale nel cuore degli albanesi. Naturale quindi che quando hanno potuto fare qualcosa per aiutare ’abbiano fatto.
Per questo l’ho trovato un gesto contemporaneamente bellissimo e “normale”.
Per un artista come te, cosa significa vivere un momento come questo che stiamo affrontando?
Io dico sempre che scrivo canzoni quando perdo l’equilibrio che è dentro di me, sia in positivo che in negativo. E’ quello che mi spinge a scrivere. Stare a casa da subito ha fermato questo equilibrio, quindi mi ha creato grosse difficoltà nel realizzare cose nuove, contrariamente a quanto si potrebbe pensare dato il maggior tempo a disposizione. In realtà il “non vivere” mi ha fermato, all’inizio. Poi, piano piano, mi sono adattato e ho ricominciato a scrivere, infatti è uscita una canzone nuova. Al di là di poter o meno uscire, musicalmente parlando è stato all’inizio un momento molto particolare, una bella botta da cui mi sono fortunatamente ripreso. Questo virus è veramente brutto, è invisibile, non sai neanche quando aver paura. In una guerra percepisci il rumore, il pericolo. Qui non sai e il non sapere è la cosa peggiore.
Hai parlato di percezioni. E proprio da una percezione, quella di un odore, nasce il tuo nuovo brano…
Si tratta dell’odore della borsa di una mia amica, con la quale abbiamo passato alcune serate insieme. Lei ha il vizio di fumare davvero tanto e quindi si sentiva un odore molto, molto forte di fumo. Ho cercato di legare questa sensazione a una visione un po’ più ampia, generazionale, di quelli nati nel 1990 come me, che hanno tutto da vivere ma che non sono più dei ragazzini. Ho provato a racchiudere questa sensazione in un vero inno generazionale.
Una generazione particolare, quella del 1990. Cosa significa avere trent’anni nel 2020?
Significa doversi adeguare, per forza, a quello che vivi. Restare indietro è sempre sbagliato, io per primo cerco sempre di stare al passo e di non evitare il giusto ritmo che il mondo ti impone. Si tratta di un ritmo molto veloce e anche un po’ soffocante. La mia generazione, senza voler dire che fosse migliore di quelle attuali, era però forse l’ultima romantica e un po’ ribelle. Sono molto affezionato a questi due aspetti e quindi cerco di adeguarmi, ma a modo mio.
Cos’è il romanticismo per un trentenne?
Romanticismo è anche andare un po’ più piano, scavare un po’ più a fondo ad esempio in un sentimento o semplicemente un momento che stai vivendo. Ultimamente c’è una velocità di esecuzione davvero impressionante, non si riesce ad assaporare nulla perché c’è già una nuova sensazione in arrivo. Non c’è più profondità, è come se tutto fosse allo stesso livello. Ho lavorato nella produzione di Odore per renderla dinamica, perché la dinamicità è ciò che manca a questa epoca. Ho cercato la profondità, rendendola romantica, un po’ come me, sia nel suono che nel testo.
Oggi si fa molta fatica, ad esempio, a soffermarsi su un pensiero anche solo per due giorni e questo atteggiamento te lo impone come normale il mondo che ti circonda.
A proposito di approfondire: quali sono i modelli di riferimento ai quali ti sei ispirato per creare un tuo stile?
Non ho un artista o un genere preferiti. Mi sono fatto influenzare da tantissima musica diversa, ascoltata sin da piccolo. Sicuramente per i testi un riferimento sono i grandi autori italiani, da Dalla ai più recenti Gazzelle, Calcutta, Tommaso Paradiso, I Cani o Canova. Musicalmente parlando, invece, i riferimenti sono tantissimi: adoro gli Oasis, quindi il sound del Brit-Pop, le chitarre un po’ aperte, così come la musica di Yann Tiersen, in cui mi rivedo nelle parti di piano che faranno parte dei prossimi brani.
“Odore” è uscito ormai da quasi un mese. Quale accoglienza ha avuto il brano?
Sicuramente molto positiva, sono davvero contento. Odore è piaciuto, si trova su delle belle playlist , è stata accettata volentieri anche da realtà molto grandi, che per me erano solo un sogno fino a qualche mese fa. Sono molto positivo per quel che riguarda il percorso di questo brano.
Giusto avere sogni e ambizione. Tu hai già calcato palchi importanti, lavorando con Francesco Renga…
E’ stata un’esperienza pazzesca, di quelle che ti fanno crescere subito: cinque aperture equivalgono a due anni di live nei locali. Ho cercato di “rubare” il più possibile mestiere, anche semplicemente guardando Francesco sul palco e fuori. E poi, duemila persone non le avevo mai viste davanti a me: cose nuove, tutto molto figo. Aprire artisti del genere è una vera e propria scuola, un’esperienza che tutti gli emergenti dovrebbero fare.
Parlavi di brani in cantiere….
C’è un singolo già pronto e sto lavorando ad altri, in un progetto musicale che dura ormai da un anno, si sta chiudendo un primo cerchio. Prossimamente, anche se al momento non c’è una conferma in tal senso, mi piacerebbe pensare anche a un album. Per il momento, stiamo pensando di far uscire molto presto un nuovo singolo.
Sei, ovviamente, presente sui social. Vedo però una preferenza per Instagram, più che Facebook. E’ una scelta precisa?
Semplicemente, su Instagram c’è molto più “flusso”. Facebook lo trovo più adatto per le comunicazioni, mentre su Instagram c’è spazio anche per messaggi meno legati alla musica.
Li tengo comunque entrambi aggiornati, perché tra chi mi segue c’è anche chi ha solo Facebook. Sicuramente, però, il pubblico di Instagram è quello più corrispondente a quello di riferimento per me.
Inoltre la musica è principalmente su Instagram: è un trend che sto osservando anche tra i big. Le stories, poi, ti danno una libertà differente e consentono una maggiore creatività. I post sono sempre più comunicazioni di servizio.
Hai già una data per il singolo in uscita?
Una vera e propria data non c’è, ma conto di farlo uscire durante il mese di maggio. Non dobbiamo farci fermare dalla pandemia ma guardare avanti. E questo è particolarmente vero per un emergente.