Intervista: Pierpaolo Capovilla “l’importanza della relazione fra verso e phoné”
Anno Duemilaeotto:
Su un palco pseudo-pericolante in un parcheggio a ridosso della metro (che la si sente scorrere graffiando sui binari) nei pressi di Caivano, si accavallano una serie di musicisti… fra artisti locali e talatri che in futuro saranno blasonati e poi dimenticati.
Sono allo stand bianco e blu della Paulaner a prendere una birra che non era Paulaner, spillata male e tiepida. Mentre passo tre euro al ragazzetto che mi allunga il bicchiere di plastica con quello che lontanamente si può chiamare birra, da lontano si sente il cavo di un microfono frustare il palco e lo stomping di stivali echeggiare sul legno delle assi.
Tutto questo lo senti al di sopra del connubio di distorsioni e crash da 20” che vengono martellati da Vic-Firt 2B suonate dalla parte dell’impugnatura. Sento un uomo urlare… un urlo sofferente e teatrale, grasso. Da quell’urlo si passa a: “O mia madre Vergine Santissima (pausa) Immacolata Concezione. Non s’era mai sentito nulla del genere… e allora musica maestro, musica… vita mia a noi due” (Vita Mia – Il Teatro Degli Orrori).
Da quel momento non stacco gli occhi dal palco per cinquantacinque brevissimi minuti.
Quell’uomo è Pierpaolo Capovilla, quel gruppo è Il Teatro Degli Orrori (l’elite della musica alternativa italiana di quegli anni… includendo Favero al basso, Valente alla batteria e Mirai alla chitarra… da me già conosciuto come frontman dei SuperElasticBubblePlastic).
Il curriculum di Capovilla è vario: Cantante e Bassista per i One Dimensional Man, voce ne Il Teatro Degli Orrori, Bassista per Bunuel, un disco da solista e recentemente in fase di pubblicazione del suo primo album con i “Cattivi Maestri’.
Capovilla è un uomo gentile e decisamente schietto nel parlare… non ha mezzi termini, lui ti dice le cose come le vede e a volte precisamente come sono. Ho avuto la fortuna di aver parlato con lui per più di tre ore e quarantacinque minuti… spesso “fatti nostri” non riportati in questa intervista… ma anche grandi verità.
Quello che riporto è un sunto di quelle ore… anche se, come ho detto a lui, ci vorrebbe un libro per racchiudere il suo pensiero… non c’è intervista che lo contenga (Cit. Carmelo Bene).
AM: Partiamo dal nome: Pierpaolo, nome “Pesante” PierPaolo?
PP: Sono i due più grandi santi della Romana Chiesa Cattolica. Mia madre era una novizia Paolina prima di concepire le mie due amatissime sorelle e poi me. Paolina nel senso di appartenente all’Ordine di
San Paolo… quelli di Famiglia Cristiana, per intenderci, che si occupano di comunicazione. Insomma, era una suora. Mio padre era un signore barbuto e arcigno che voleva farsi sacerdote… ero il primo maschio e bisognava darmi un nome importante. Poveri inconsapevoli, non sapevano che avrebbero associato il mio nome con quello di Pasolini, che era cattolico, ma un cattolico decisamente eterodosso… Comunista e omosessuale (un doppio stigma nella comunità cristiana).
AM: Com’era il rapporto con tuo padre?
PP: Si chiamava Ernesto, ed era un uomo buono e mite. Lavorava infonderia. Tornava a casa così stanco che a volte mia madre lo aiutava a lavarsi. Eravamo poveri. Vivevamo in una casetta malsana, senza neppure l’acqua corrente. Ho vissuto una fanciullezza molto dura, ma non mi fece mai mancare niente. Dedicò l’intera sua esistenza alla famiglia, e lo fece con amore e un senso del dovere che soltanto un vero cristiano sa dimostrare ai
propri figli. Mi viene a trovare in sogno, ogni tanto. Mia madre molto meno… Ovviamente non è mio padre… è il mio inconscio, ma ogni volta che sogno la mia figura paterna è qualcosa di sorprendente. Quasi che ti vien da chiederti… ma non è che uno muore ma poi in realtà… non muore? Mi ha sempre affascinato il tema della metempsicosi.
AM: Non vuoi avere figli?
PP: Ne sarei felicissimo… Ma mi spaventa… Ho cinquantatrè anni ormai. Se dovessi avere un figlio, già mi ci vedo quando lui a quindici vuole giocare a pallone e io a sessantotto sarei ormai anziano e stanco. E poi, insomma, fra trent’anni io quasi certamente non ci sarò più. Mi amareggerebbe che un giovane figlio si ritrovasse orfano così presto, soprattutto in questo momento storico, nel quale il supporto dei genitori è importante sia a livello sociale che economico. Essere giovane oggi non è come negli anni sessanta o settanta. Oggi c’è pura disperazione, il futuro è incerto, e se c’è n’è uno, è distopico. Il Capitalismo sta trasformando il mondo in un romanzo di Philip Dick, un Blade Runner, o un Ubik… Dick usava la fantascienza come critica e analisi dei suoi tempi, individuarne i limiti e tramite la fantascienza superarli… la fantascienza Statunitense di quei tempi ha visto parecchio avanti.
Adesso c’è un cretino in America che vuole andare su Marte… Dovrebbe leggere “Le Tre Stigmate Di Palmer Eldritch” prima di portare una comunità umana su un pianeta desertico a morire d’inedia. Sembriamo non rendercene conto, ma questa storia di emigrare un pezzetto di umanità in un altro pianeta è ‘ideologia’ alla sua quintessenza: quella falsa coscienza che ci induce a fantasticare futuri avventurosi per dimenticare lo spaventoso
stato di salute della Terra e dei suoi abitanti.
AM: E da qui ci possiamo ricollegare a Blade Runner?
PP: Certo, in tutta la critica del loro tempo hanno intuito un’evoluzione/involuzione della società. Pensa a come si vive a Taiwan o Hong Kong o a Pechino… oppure come si vive nella Silicon Valley, dove si concentrano gli infinitamente ricchi. Ma tornando a Taiwan… è identico agli scenari di Blade Runner, dove non si distingue più chi è umano e chi è replicante. Ovviamente non ci sono replicanti… Ma siamo diventati molto simili a dei robot, indifferenti e schiavi di noi stessi. Non a caso Robot significa schiavo.
AM: Di cosa siamo schiavi?
PP: Mi viene in mente una bella puntata di “Presa Diretta”, il programma di Riccardo Iacona, forse il miglior giornalista televisivo che ci sia in Italia. Si intitolava “Iperconnessi”, e il tema era l’uso e l’abuso che facciamo oggi dei dispositivi. Il buon Iacona se ne venne fuori con una riflessione molto vera e anche piuttosto inquietante: un uomo libero è fiero della propria libertà, e cammina a testa alta guardando il mondo negli occhi. Lo schiavo guarda verso il basso, indifferente al destino altrui. Ecco, oggigiorno sembriamo tutti degli schiavi dei nostri smart-phone, che abbiamo eletto a nostri avatar, a spazi simbolici privati nei quali non c’è posto per gli altri, se non all’interno di una trasfigurazione, eminentemente simbolica, in un processo di eterodirezione delle nostre esistenze che non sappiamo o non vogliamo indagare, decifrare e men che mai combattere.
Naturalmente siamo schiavi dei nostri assurdi consumi. Consumiamo una quantità di beni e servizi grottesca. Siamo schiavi dei nostri egoismi, delle nostre indifferenze, e della vanagloria ormai egemone che imperversa nel
sistema socio-economico dei paesi ricchi.
AM: Durante il Covid c’è stata una manipolazione aggressiva dellanotizia (Fake News, Gattini, Novax, Etc) Cosa pensi dello spam giornalistico sui social network?
PP: Il Social Networking è uno strumento di manipolazione delle masse e dell’opinione pubblica.
Caso lampante è quello della Brexit. I social network hanno scientemente diffuso notizie false per indurre le fasce di popolazione più politicamente vulnerabili a votare per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
La stessa cosa l’ha fatta Salvini, la Meloni, Trump… ma anche Obama. Nessuno può dirsi estraneo all’immenso potere acquisito dai social network, i quali, è bene ricordare, sono enti privati che obbediscono a leggi proprie. Diciamocelo, sono un pericolo per la democrazia.
AM: Un messaggio neo-nazionalista quindi?
PP: Zuckemberg viene accolto al Parlamento Europeo come se fosse uno statista… Ma lui è il CEO di una Corporation che, passo dopo passo, è divenuta più potente delle istituzioni statuali nel mondo. Il tema qui non può essere il nazionalismo, ma il crescente potere delle corporazioni transnazionali. Dovrebbero esserci dei limiti, che non ci sono. La politica insegue i soggetti privati sul loro stesso sentiero, incapace di legiferare per mettere un freno al processo di appropriazione privata (e imperiale) della sfera pubblica. Pensa a quando accetti i loro Terms & Conditions: non puoi non accettare, altrimenti l’applicazione semplicemente non funziona.
Parliamoci chiaro. I social network non soltanto inquinano l’immaginario collettivo, ma l’atmosfera terrestre, molto più di quanto la gente immagini. Per accumulare, immagazzinare e conservare l’immensa massa di dati di cui questi network abbisognano è necessario un altrettanto enorme numero di server, che sono altamente energivori. È stato calcolato che soltanto l’industria del porno Online rilascia una quantità annua di CO2 nell’atmosfera terrestre quanto la Francia… e Netflix quanto il Cile! Poi ti dicono “non stampare questa mail, rispetta la natura”. Una mail produce più CO2 di un pezzo di carta. Internet stessa è stata un’invenzione militare in previsione di un conflitto termonucleare.
La stessa evoluzione tecnologica è correlata al militare, pensa all’Intelligenza Artificiale (e qui, di nuovo, potremmo tornare al nostro amato Philip Dick). Sono tutti piccoli step che facciamo per preparare ogni giorno una gran bella guerra mondiale…
La mia, la nostra generazione non ha conosciuto la guerra. Si limita a farla agli altri, ovunque nel mondo, e sempre e soltanto per depredarlo, il mondo, di ogni risorsa energetica ancora disponibile. Come non ricordare, e sottolineare, che per il sistema capitalistico guerra e violenza sono necessarie.
AM: I tuoi Reading, e ne hai fatti molti: Pasolini, Paolucci… ma soprattutto Majakowskij, a te molto caro, e che per ricollegarci al tuo stile figlio di quel Carmelo Bene di “Quattro Diversi Modi di Morire in Versi”…
PP: Mi inorgoglisce essere accostato al Maestro. Quando dicono Capovilla “scimmiotta” Carmelo Bene io rispondo: Beh, si, è vero… grazie!
AM: Com’è nato “Eresia Socialista/Eresia dell’Amore”? (Reading dedicato completamente a Majakowskij).
PP: Le musiche, o suoni, sono stati composti da Giulio Ragno Favero. Poi a un certo punto ho iniziato a farlo da solo e, forse, funziona ancor meglio… Il poeta, e sopratutto Majakovskij, è certamente sufficiente a se stesso. Majakowskij, che era un marcantonio e aveva un vocione baritono come pochi altri, scriveva per la sua stessa voce, intendendo poesia e enunciazione come necessariamente complementari. È una caratteristica di tutta la poesia Futurista, sia quella Italiana che quella Cubo-Futurista Sovietica. Quando compresi l’importanza della relazione fra verso e phoné (e qui Carmelo Bene ebbe un ruolo fondamentale nella riforma del teatro contemporaneo) incominciai a scrivere canzoni con una consapevolezza nuova e diversa da prima.
AM: Il Futurismo poi nasce fra due dittature… che differenza c’è fra il verso Futurista Italiano e quello Cubo-Futurista Sovietico?
PP: Si sa che Marinetti e Majakowskij si incontrano e il Majakowskij si rifiutò di stringergli la mano… una presa di posizione che ci fa capire che sebbene le due realtà nascano insieme… sono ideologicamente differenti. Anche per questo in Russia poi viene chiamato Cubo Futurismo, per distinguerlo dal Futurismo Italiano.
Se mi sentisse Guido Carpi, chissà cosa mi direbbe (Guido è ordinario di Lingua e Letteratura Russa a Napoli). Vabbeh, chissenefrega! Il Futurismo Italiano esaltava la macchina quale simbolo del progresso tecnico.
Il Cubo Futurismo Sovietico esaltava la grandezza del cuore umano, la capacità di cambiare il corso della storia e degli eventi umani, il Socialismo. “Noi comunisti siamo il sangue nuovo delle arterie della città, il corpo dei
campi di biada, il filo del tessuto delle idee (V. Majakowskij)”. E certo, la Rivoluzione Russa rappresentò il più straordinario tentativo dell’umanità di sconvolgere il corso della storia, nel segno dell’uguaglianza fra i popoli e in quello della proprietà pubblica dei mezzi di produzione. Nel corso di quel tentativo, fiorì in Russia una poesia molteplice e nuovissima: non solo futurismo, ma anche acmeismo, neorealismo e surrealismo. Sergej Esenin fu forse l’esempio più altro e drammatico dello scontro poetico della sua epoca. E ne fu ‘suicidato’.
AM: Suicidato dalla Società?
PP: Si… Come il Van Gogh di Antonin Artaud https://www.adelphi.it/libro/9788845903137
Majakovskij e Esenin vissero nel pieno di un rivolgimento storico di inaudita violenza. Majakovskij se ne andava in giro armato! Esenin forse fu ucciso dalla CEKA, la neonata polizia politica. La storia della sua morte è complessa e inquietante. Giorni prima d’esser trovato cadavere in una stanza dell’Angleterre, un prestigioso albergo a Leningrado, scrisse una breve lettera ad un amico, e la scrisse con il suo stesso sangue. Era il 1925, e a Leningrado non si trovava neanche il pane, figuriamoci l’inchiostro… Me lo immagino, Sergej Esenin, ubriaco marcio, senza inchiostro, nel tonante, ineludibile attimo creativo, ferirsi i polsi e scrivere: “Arrivederci, amico mio, arrivederci. Mio caro, sei nel mio cuore. Questa partenza predestinata promette che ci incontreremo ancora. Arrivederci, amico mio, senza mano, senza parola. Nessun dolore e nessuna tristezza nei sopraccigli. In questa
vita, morire non è una novità, ma, di certo, non lo è nemmeno vivere”. Qualche anno dopo gli avrebbe risposto Majakovskij, nella sua “A Sergej”: “In questo mondo morire non è difficile. Vivere, è molto, molto più difficile”.
Ecco, si tratta dello stesso pensiero declinato nelle terribili circostanze storiche che i due autori andavano esperendo. Anche Majakovskij, di lì a poco, si sarebbe suicidato. Ma ciò che mi preme osservare, è che i poeti non temono la morte. Per essi la vita non è che un momento in attesa del trapasso. E che il mondo ne possa sorridere, nella nostalgia.
AM: Com’è andata in Salento?
PP: Un vero sequestro di persona (ride)… sai come sono i salentini, ospitali! Addirittura la mia compagna mi fa “Sei sicuro di farcela?” perchè ci sono stati dei pomeriggi in cui abbiamo mangiato otto ore di fila, il nostro ospite aveva assoldato un Cuoco… un genio… abbiamo fatto un po’ di spettacolino, io ho letto il Majakowskij e c’era un pianista jazz. Andrea De SImeis, artigiano salentino, ha costruito questa macchina che si faceva nel ‘600 dove passano delle figure su carta di cotone, la macchina rilascia queste figure e ci sono questi “Coccodrilli” (Una onoranza funebre prima che l’interessato lasci questo mondo).
AM: Ma per quanto riguarda l’articolo su Sanremo che hai scritto per “Domani”? E che ne pensi di questo Sanremo?
PP: Credevo uscisse in cartaceo, invece è pubblicato solo nel sito del giornale: https://www.editorialedomani.it/idee/cultura/non-avevo-mai-visto-il-festival-di-sanremo-e-non-lo-vedro-mai-piu-qbzfns7x
Volevo intitolarlo “Qualcosa di divertente che non farò mai più” per citare quel genio di Foster Wallace.
È stato come assistere ad una crociera, o ad una squallida serata in un villaggio turistico. Tutto, o quasi, mi è sembrato volgare, ignorante, importuno, specie Achille Lauro e …. i vincitori, quella banda di rockettari insulsi. Non c’è niente che mi infastidisca di più se non il rock quando manca di una qualsivoglia forma di autenticità.
AM: Hai mai conosciuto Zanotelli?
PP: Non ne ho mai avuto il piacere… Ma ho la fortuna di conoscere Don Capovilla, il mio omonimo. Don Nandino Capovilla, co-fondatore di Pax Christi, quelli che furono massacrati dalla polizia negli scontri di Genova, nel 2001. Don Nandino è fra gli esseri umani più belli che abbia mai avuto il privilegio di incontrare.
(Cito ZeroCalcare che in “Ogni Maledetto Lunedì” descrive la Genova del 2001 con “A.F.A.B.” e per farla breve… lui e i suoi amici stavano scappando dall’antisommossa e finiscono pestati dalla forestale… ridiamo).
PP: Ma dai… ora mi vieni a dire che anche la Forestale ha partecipato alla repressione? C’è da non crederci. Ma tutto fu incredibile al G8 di Genova, dove si verificò la più oltraggiosa sospensione dei diritti democratici e della Costituzione dell’intera storia repubblicana del paese. Provo ancora rabbia e risentimento. Non me ne libererò mai. A Genova ci fu lanciato un messaggio, anzi: un avvertimento: andate pure a protestare in piazza quando volete, ma d’ora in poi lo farete a vostro rischio e pericolo.
AM: Quindi dopo One Dimensional Man e Il Teatro Degli Orrori abbiamo: Pierpaolo Capovilla e i Cattivi Maestri, cosa ci aspetta?
PP: Dimentichi Bunuel! Con i quali non suono più. Mi hanno letteralmente cacciato dalla band. E c’ho piacere… Stiamo lavorando al disco da molto tempo. La pandemia ci ha imposto (e permesso, perché no) di agire con molta calma. Credo sia la prima volta in vita mia che mi ritrovo a concepire un album con una lentezza tale. Questo mi ha permesso di ragionare senza fretta alcuna su ogni singolo aspetto del disco e delle canzoni.
Ho impiegato circa due anni a scrivere una ventina di canzoni che sentissi finalmente mie, occupandomi di tutti gli aspetti arrangiativi, dal basso, che è il mio strumento, alla batteria, per giungere alle parti di chitarra. Queste ultime, con mia grande sorpresa, sono piaciute a Egle (Egle Sommacal, dei Massimo Volume), che ne ha conservate parecchie, e non ti dico quanto mi sono sentito inorgoglito. Non sappiamo ancora quando pubblicheremo, né con chi, se con una major o un’etichetta indipendente. La situazione generale è talmente incerta…
AM: Penso che tu sia stanco quanto me (Annuiamo entrambi), questa è l’ultima domanda: in una intervista su “I Pugni in Tasca” tu dici: “L’arte non registra, l’arte cambia il mondo. La funzione dell’intellettuale o dell’artista deve essere una funzione politica se non c’è questa funzione politica non sei un intellettuale o un artista, vai a fare in culo che è meglio”…
PP: Quando dico “impegnato” non intendo l’essere iscritto ad un partito e non intendo la militanza tout-court, così come non intendo l’adesione ad una specifica visione del mondo. Mi riferisco a quel “avere a cuore” il destino del
proprio paese e del mondo. Di paese e di mondo ne abbiamo soltanto uno.
O ce ne occupiamo, oppure andiamocene affanculo. Meglio per tutti.