Intervista: Massimo Marinotti e la sua “Palomar”, tra le 10 librerie più belle d’Italia
Massimo Marinotti, 61 anni, ha una passione per i libri che ti trasmette a pelle. Gli occhi si illuminano quando guarda gli scaffali, le sue mani tremano sfogliando le pagine. Lo incontriamo nella nuova sede della Libreria Palomar, fresca d’inaugurazione nel pieno centro di Grosseto.
La Palomar è una libreria particolare, non vuole essere solo una libreria ma un luogo d’incontro, di relazioni umane, di discussione. Tutti i lunedì, a parte il periodo estivo, c’è Lucia Matergi (si tratta di una docente che è stata, tra l’altro, consigliere regionale, molto conosciuta a Grosseto) che realizza delle letture a sua scelta: in quelle occasioni ci sono 40-50 persone che discutono di quel libro.
Inoltre realizza scuole di scrittura creativa con docenti qualificati come Valentina Tinacci, che ha insegnato a numerosi master universitari presso la Facoltà di Lettere a Siena o Elisabetta Casagli, che è bravissima con i bambini. Tutti i venerdì si fa Siena Jazz, collaborazione con importanti artisti favorita dal fatto che Palomar è anche una libreria in splendida posizione nel centro di Siena.
Vi hanno luogo, ovviamente, molte presentazioni di libri, incontri, dibattiti con persone importanti nel panorama italiano, quasi mai scrittori grossetani, scelta operata affinché la libreria possa spaziare il più possibile nel panorama culturale del Paese.
Dopo oltre 30 anni di carriera da libraio, Massimo viene contattato da Capalbio Libri, una delle manifestazioni più importanti d’Italia nel settore libri: lo vogliono come partner. Si rende subito conto che sono persone brave e preparate, quindi da quest’anno Palomar diventa partner ufficiale della manifestazione. Questo non significa solo portare i libri, ma bensì usare la loro conoscenza, il loro mestiere nello stilare un progetto e un programma.
Capalbio Libri è in pieno svolgimento, è partito il 26 luglio e dopo Mantova Libri è la più importante iniziativa nazionale. Non si tratta di presentazioni canoniche ma eventi nei quali ci sono attrici, presentatori RAI, giornalisti che sul palco leggono, discutono, parlano di ogni libro. Ci sono minimo quattro-cinque persone a interagire per ogni presentazione.
“Il mio obiettivo, di cui ho parlato anche con l’ideatore Andrea Zagami, – ci spiega Massimo – è quello di far trasmigrare molte delle esperienze del Festival anche a Grosseto, perché sarebbe opportuno coinvolgere il capoluogo di provincia.”
“Inoltre, recentemente è stata lanciata la proposta di candidatura di Grosseto a capitale del libro, opera di Emilio Guariglia, caposervizio de Il Tirreno e subito sposata dall’On. Mario Lolini. Si tratta di un’idea suggestiva che va verificata, ma non avrebbe senso se Grosseto fosse slegata da tutte le iniziative che insistono sul proprio territorio provinciale. Penso a Follonica, dove il nuovo assessore Alessandro Ricciuti si sta muovendo molto bene, naturalmente a Capalbio o a Santa Fiora, luogo in cui aveva preso la residenza il maestro Andrea Camilleri, che rispetto molto perché è stato un grande personaggio, sia nella letteratura che nella vita civile, aspetto che reputo molto importante.”
“La letteratura, come le librerie, deve servire alla trasformazione dell’uomo. Trasformazione e non cambiamento: il cambiamento avviene come un raggio di sole che ti abbronza la pelle, mentre la trasformazione è più complessa, ha bisogno di saperi, conoscenza, cultura e relazioni. Cosa c’è di meglio che relazionarsi in libreria? Questa libreria è mille cose insieme, ognuna con i suoi spazi, tutt’altro che un’accozzaglia. Può essere anche semplicemente un luogo d’incontro per chi decide di fermarsi a uno dei tavoli per un caffè e avere la possibilità di relazionarsi con le altre persone. Il tentativo è quello di recupeare l’incontro umano poiché le persone non comunicano più, se non attraverso i messaggini sul cellulare.”
Come hai deciso di fare il libraio?
Io sono di Siena ed ero un personaggio abbastanza conosciuto in città e in Italia perché fotografo di quella che all’epoca si chiamava regolarità, oggi enduro, specialità di moto che si avvicina al motocross. In quegli anni si cominciarono a usare le macchine fotografiche digitali e per noi che eravamo vecchi fotografi (anche se io ero giovanissimo) era cambiato il mondo: nessuno sapeva fare le foto ma tutti erano fotografi. Io smisi: non volevo infilarmi nel pelago in cui si sono trascinati molti altri e con la mia compagna decidemmo di cambiare città. In quel periodo ci sentivamo dei nomadi e alla fine la scelta è caduta su Grosseto: abbiamo aperto la prima libreria e già avevamo cambiato tutto, realizzando una libreria di 180 mq che rappresentava una cosa dirompente per la città.
Portammo poi grandi nomi: da Marco Bellocchio per il cinema, Remo Bodei e Aldo Giorgio Gargani per la filosofia, Giampaolo Pansa che era mio grande amico. Pansa, tra l’altro, essendo molto scaramantico, aveva il vezzo di fare la prima presentazione sempre da noi, convinto che io gli portassi bene. Successivamente abbiamo spostato la libreria in Corso Carducci (la via principale di Grosseto) e sono arrivati importanti riconoscimenti: “Panorama” ci ha inserito al quinto posto tra le dieci librerie più belle d’Italia, “Repubblica” sul primo numero di “Robinson” ci inserì al quarto posto in una classifica dello stesso tipo.
Poi il mondo cambia: arrivano i centri commerciali che distruggono le città, le svuotano, più che dal contenuto economico, da quello relazionale. Il centro non è soltanto business o acquisti, ma bensì un luogo fisico nel quale si incontrano gli amici, in cui da ragazzini si cercavano le fidanzate e le “vasche”, ovvero il percorrere avanti e indietro la via principale era un modo di vita quotidiano.
Ora ci sono questi centri commerciali, che ho duramente criticato, io formica contro i giganti che hanno demolito un assetto economico e soprattutto umano. Faccio un esempio: la mia compagna, che abita con me in una piazza centrale, aveva l’abitudine di portare dopo cena il cane fuori e negli ultimi tempi ha percepito la paura della solitudine, poiché questa economia marcia ha fatto sì che Grosseto diventasse una città instabile, insicura, paurosa, in preda al vandalismo più becero.
E in questo scenario tu hai deciso di rilanciare, in mezzo a molti che abbandonano…
C’era un fondo libero in piazza Dante (la piazza principale di Grosseto), la cui proprietà mi conosceva, sapeva chi fossi e la mia storia ed essendo anche miei clienti, hanno insistito moltissimo affinché io venissi qua. Ho visto questo progetto, bello ma molto impegnativo, con tanti lavori da fare. Si trattava poi di lasciare il Corso, via per eccellenza di passaggio e i libri hanno bisogno che tu ci “sbatta la testa” per essere notati e comprati. Ho voluto però scommettere e realizzare un sogno: a sessant’anni, non più ragazzi ma con un cuore giovane, rimettersi in gioco, cambiare ancora, fare una libreria ancor più diversa di come fosse sino a quel momento.
Non più solo libreria, quindi: abbiamo inserito un bar, uno spazio per fare concerti, la scuola di scrittura che tanto successo sta riscuotendo, trasformando la libreria in un luogo polivalente di attività culturale. Abbiamo aperto il 23 marzo e il successo è stato immediato: chiunque entri ci fa i complimenti e questo fa innegabilmente piacere. In più si stanno riformando i portici a Grosseto: in tutte le città i portici rappresentano vita, dando riparo quando piove e ombra quando c’è il sole. Qui invece erano allo sbando più completo. Ora fioriscono nuove attività gestite da giovani e anche la storica farmacia qui accanto ci vede con estremo favore.
La cosa piacevole è stata ricominciare da capo, perché quando cambi luogo, cambia tutto. Le nostre presentazioni sono serie ma molto fruite, ricordo Amélie Nothomb, capace di riempire l’Aula magna dell’Università fino a renderla stracolma o Laura Morante, con la quale abbiamo dovuto realizzare due date per soddisfare il numero degli intervenuti. Ultimamente è venuto Davide Rondoni a parlare di Leopardi, ero dubbioso perché l’argomento non è dei più facili. Eppure c’erano 70 persone, una cosa davvero affascinante.
Sono sempre stato un uomo politico che ha lavorato per la trasformazione senza essere mai tesserato. La cosa più triste nella mia vita è che tutti i partiti, di qualunque fazione, hanno sempre ignorato ciò che facevo, quasi che fosse qualcosa che non serviva. E invece è la cosa più importante, perché la politica è capire le cose, la gente, mettersi in relazione con il nuovo.
Con Andrea Zagami di Capalbio Libri abbiamo ideato un progetto, bellissimo e articolato, presentandolo a due città, Grosseto e Siena. Quest’ultima ha manifestato un forte interesse ma alla fine un nulla di fatto. Anche a Grosseto nulla di fatto, con l’aggravante di un interesse altrettanto nullo.
Ma vado avanti, investendo, perché fare tutto questo ha un costo e significa rinunciare a vestiti nuovi, ai viaggi, alle cene al ristorante. Si vive, del resto, anche di altre cose e io sono felice del mio lavoro quanto deluso da chi detiene il potere. Non ho mai accettato padroni, anche davanti all’interesse di grandi aziende, perché nasco uomo libero e morirò tale. Allo stesso modo, chi lavora per me ha un contratto regolare e uno stipendio più che dignitoso, a differenza di chi lavora ad esempio nelle grandi catene. Ho potuto così scegliere persone preparatissime, con due lauree, cui ho sempre insegnato di dire la verità, ciò che fondamentalmente è giusto e non forzare la vendita. E’ ciò che io stesso ho messo in pratica in 31 anni di mestiere.
Come è composta la comunità che si riunisce intorno a Palomar?
Si tratta di persone che, con gli anni, ho formato. In 31 anni ho formato ingegneri, architetti, dottori, professori eccetera. Spesso sono queste persone che si ricordano o altre, che si avvicinano a questo mondo perché piace loro. Alla fine si tratta di gente normale, che apprezza che esista un’iniziativa come quella della Palomar. Grosseto è una delle città d’Italia con il maggior numero di librerie e nessuna di esse vive benissimo, però ci sono tre librerie che superano i 250mq e sette-otto oltre i cento metri, un vero unicum nel nostro Paese, specie se si pensa che non si tratta di una città universitaria. Si tratta di un fenomeno che andrebbe compreso a livello sociologico, perché non è comune.
Che opinione ti sei fatto in proposito?
Se vai a Siena e dici di essere di Grosseto, tutti sghignazzano e ti dicono “GR: Gente Rozza”. E invece, tolti gli ultimi tragici due anni, il livello culturale di Grosseto è più elevato di quello di città più blasonate come Siena o Firenze. Siena, ad esempio, è chiusa nel suo medievalismo, nelle sue contrade, nel suo Palio, non ha scambio. Grosseto, invece, è vicina ai porti e in essi arriva gente sempre nuova e occasioni di confronto, molto più che nelle città dell’entroterra. I grossetani non sono montanari, silenziosi. Qui la gente parla! Io sono senese, ma ormai grossetano visto che abito qua da oltre trent’anni e considero questa la mia città.
Come vivi la trasformazione in corso nell’editoria? Da un lato l’arrivo del libro digitale, dall’altro l’impatto fortissimo dell’e-commerce sulla vendita dei libri…
Penso che sia un fenomeno che nessuno ha mai voluto guardare, certe cose vanno comprese prima di discuterne. Troppo facile dire che l’e-commerce sta distruggendo le botteghe. In Italia esiste nel mondo dei libri una cosa anomala, cioè che il 25% della grande distribuzione sta chiudendo la vendita dei libri all’interno dei supermercati, si è trattato di un fallimento. L’e-commerce ha attualmente circa il 25% del mercato in Italia, è tantissimo. Le librerie chiudono, noi siamo controtendenza. Tuttavia, credo che l’e-commerce sia per il 10% una cosa buona e per il 90% una cosa folle, il prodotto di solitudini umane. Quando vai in un negozio a provare un paio di scarpe per poi acquistarle su Internet, stai uccidendo quel negozio. Per risparmiare qualcosa si mandano a casa un’azienda e dei dipendenti, foraggiando un’economia malata. Nel mondo abbiamo tutti diritto di vivere ma secondo l’e-commerce solo un 30% delle persone potrà vivere, il resto sarà carne da macello e non basterà alcun reddito di cittadinanza. Ci vuole intelligenza: si pensi che un operaio magazziniere robotizzato, come quelli di Amazon, con il braccialetto e tutti i meccanismi del caso, fattura circa 25 volte una libreria con tre persone che ci lavorano. Se queste 25 librerie chiudono, cosa mangiano quelle 75 persone? E’ questo il futuro del libro, dell’economia? Credo che dobbiamo essere più umani, perché questa situazione porta al totale menefreghismo.
Quando ero piccolo esisteva la lotta di classe, il povero e la piccola borghesia contro il padrone. Oggi c’è il povero contro il diseredato, contro il nero, il diverso, chi non ha una casa. Il ricco viene visto solo come un mito, irraggiungibile, quasi un Dio, sacro e profano nello stesso tempo. E non è questione di giusto o non giusto, bensì di follia e sanità. Non esito a dire che quella di oggi è follia.
Io ho 61 anni e posso affermare che essere giovani oggi costituisce un grosso handicap, un grande problema. Ricordo che a 18 anni non entrai al Monte dei Paschi, facendo piangere i miei. All’epoca, infatti, ciò significava che dopo tre mesi potevi comprare l’Alfetta, l’automobile più bella di quel periodo, avere 17 mensilità, benefit inimmaginabili. Oggi, entrare nella stessa banca fornisce uno stipendio di mille euro al mese. Oggi c’è la mitologia del bere, come nel 1977 la pseudo-rivoluzione fu uccisa dall’eroina. I giovani sono già distrutti, i ragazzini si ubriacano, non sanno parlare, scrivono i messaggini con le abbreviazioni, fanno l’amore sul telefonino.
Qualche giorno fa ero a cena con la mia compagna in un ristorantino quando sono arrivati quattro ragazzi e quattro ragazze, si sono seduti l’uno di fronte all’altro e non hanno detto una parola, neanche al cameriere, tutti fissi sui loro otto cellulari, ordinando una pizza e una birra senza distogliere lo sguardo dagli schermi, dimostrando una mostruosa ignoranza. Hanno poi consumato la cena senza dire nulla, un silenzio rotto solo dal “tic tic” delle tastiere virtuali. Ai miei tempi si andava nel Corso, a guardare le ragazze, ad ammiccare loro, a cercare di parlarci, per portare a vivere i nostri sogni. I sogni, oggi, sono forse in fondo al bicchiere.
Nei tuoi 31 anni di esperienza, come hai visto cambiare l’editoria?
L’editoria è sempre stata strana, è un’azienda complessa, che riceve i propri guadagni sul nulla, sul futuro. Le case editrici, se dovessero fare un bilancio chiuso, sarebbero tutte morte, campano di fatto con i crediti bancari. E’ un’economia complicata: ricordo ad esempio il penultimo libro di Umberto Eco, di cui comprai a novembre 700 copie. A Grosseto le altre librerie ne avevano comprate al massimo 7 copie, il rappresentante rimase sconvolto e mi chiamarono anche da Milano. Ebbene, per l’Epifania ne ordinai altre 20. Oggi questo mondo non esiste più: a Siena ho comprato 70 copie del libro di Duccio Balestracci “Il Palio di Siena”, uscito il 5 giugno ed a oggi ne ho vendute 40 copie, nonostante sia un libro importante che analizza il Palio e le feste in Italia, scritto da un grande medievalista, docente universitario. E lo vendiamo in una libreria in cui tutti passano per il Palio, in mezz’ora transitano oltre 50mila persone.
Questo cambiamento si spiega con la miseria umana, economica e non solo, che porta a questi fenomeni. Oggi si parla solo di politica, di cattiveria, di “dagli al nero”, “dagli al rom” e così via, identificando sempre un nuovo nemico. Ma il vero nemico, forse, è l’intelligenza, che non viene più concepita. Penso che sia intollerabile sentire gente con il rosario in mano che pronuncia certe frasi e te lo dice un non cristiano. E’ una follia e lo è ancor di più perché anche la sinistra ammicca a queste posizioni
Cosa pensi del fenomeno degli instant book, che occupano stabilmente la vetta delle classifiche?
Gli instant book sono pseudo discussioni del momento, ma la cosa ancora più penosa sono quegli scrittori che pensano di essere i nuovi Hemingway. Un corso di scrittura creativa, lo dico sempre a chi li frequenta, non serve a scrivere un nuovo libro bensì a imparare a leggere. La gente scrive un libro avendo letto l’abbecedario a scuola e questa è davvero la cosa più penosa che ci possa essere.
Raccontaci di un libro a cui non rinunceresti mai
“La vita davanti a sé” di Romain Gary. Credo di essere stato negli ultimi 7-8 anni un grandissimo propagatore di questo libro, ne avrò vendute più di 3000 copie. E’ un libro che parla di come si può rinascere a una nuova vita. Non si nasce mai una volta sola, spesso si nasce tra le braccia di qualcuno. Il libro parla di un bambino ebreo nei campi di concentramento che dovrà attraversare una serie di drammatici eventi. Rinascere è il senso di una libreria, un libro, a differenza di un bicchiere di birra ti può aprire la mente e farti trasformare, che è più di cambiare. Per cambiare basta un vestito nuovo o un diverso taglio di capelli. Trasformarsi significa cambiare relazioni, stile di vita, sistema di valori.