Intervista: Ganoona, “Cent’anni” tra Marquez, underground, blues e influenze latine
Ganoona è un cantante, rapper e songwriter che si distingue per i suoi live energici e coinvolgenti. Cent’anni è il suo nuovo singolo, uscito a fine gennaio. Lo incontriamo in Corso Como, nella sua Milano.
Ganoona, tu sei italo-messicano…
Sì, mio padre è messicano, mentre mia madre è italiana. Io sono nato e vissuto in Italia, ma cerco di tenere sempre vivo un contatto con il Messico recandomi là almeno una volta l’anno. Mi piace coltivare entrambe le radici.
Anche nella tua musica si sente molto l’influenza latina e centroamericana, in effetti. Con quale genere musicale hai cominciato la tua carriera?
Musicalmente nasco rappando. Mi sono mosso per anni, sin da ragazzino, nell’ambito underground e hip-hop milanese. Si tratta di un ambiente fatto di jam, locali ambigui e urla sul palco. Pian piano mi sono allontanato per varie ragioni, tra cui il fatto che i miei ascolti si sono allargati, ho cominciato a studiare canto e musica in Accademia, alla NAM di Milano. Lavorando sulla mia voce ho capito che potevo cantare e non solo urlare, ho cominciato poi a comporre e la mia voce ha dovuto necessariamente cambiare, anche se la matrice rap rimane nella struttura: penso sempre in rima prima di scrivere, così come conservo sempre delle parti più ritmiche, rappate.
Il tuo è un percorso, ancora in essere, di sperimentazione di generi differenti. La tua origine rap si sente, ma contaminata da elementi nuovi. Talvolta pari persino distaccarti dalle tue origini…
Sì, assolutamente. E’ un a volte ritornano, simil Poltergeist! E’ difficile che si abbandonino le prime passioni, specialmente quelle coltivate da giovani, ma ho sperimentato tanto in passato e continuo a farlo. In Tonno, ad esempio, ci sono sonorità soul-blues affiancate da una forte influenza latina. Nel nuovo singolo Cent’anni inauguro quella che chiamo “musica ponte”, ovvero che possa parlare a più culture. A tale proposito, ho avuto una bellissima sorpresa l’altro giorno: alcuni ragazzi di Barcellona mi hanno fatto avere un video nel quale cantavano Cent’anni sulla Rambla, metà in italiano (sbagliandolo) e metà in spagnolo. E’ stato davvero meraviglioso.
Hai avuto anche molte esperienze di collaborazioni: questo ti ha dato la possibilità di confrontarti con altri artisti e quindi di crescere ulteriormente…
Certamente sì. Ricordo con particolare piacere il featuring insieme a Kayla, che è un’ottima cantante underground italiana, milanese. Anche perché in quella collaborazione abbiamo avuto l’occasione e la fortuna di essere prodotti da Polezski, che è un produttore fantastico di grossi nomi (uno su tutti Gemitaiz). Il brano è poi stato selezionato da YouTube come Artist to watch – il suono del 2019. Lavorare in studio con Polezski è stato molto, molto stimolante.
A proposito di YouTube: chi viene dall’underground di solito non ha un rapporto semplice con i social network. Come sei riuscito a passare dall’underground a “Artista da osservare” su YouTube, di fatto “digerendo” la trasformazione verso l’importante promozione attraverso i social media?
Io credo che l’underground più che una filosofia da sposare sia una tappa nella carriera di un artista, chiunque dica il contrario mente. Ogni artista ha il sogno e la voglia di comunicare con la propria arte al maggior numero di persone possibile, partendo sicuramente dalla realtà locale (e quindi dall’underground). La vocazione di tutti coloro che sono intellettualmente onesti, però, è quella di allargare il proprio pubblico e di scendere a patti con i media e naturalmente i social media (Instagram, Facebook e lo stesso YouTube). Noi artisti emergenti non dobbiamo nasconderci nell’underground ma bensì buttarci nel “calderone” dei social e vedere cosa succede, senza precluderci alcuna possibilità.
Il tuo singolo “Cent’anni” è in rotazione da un paio di settimane in radio e su Internet. Che tipo di feedback stai ricevendo?
Sto ricevendo un feedback addirittura inaspettato. Il singolo sta attirando l’attenzione di portali e radio. Ad esempio l’altra mattina sono stato in diretta su Rai Radio 1 Sport, che all’improvviso ha chiamato e ha detto “vogliamo parlare con Ganoona, ci piace molto il pezzo”. E, cosa ancora più importante, sono le persone a darmi i riscontri maggiormente positivi. Oltre al video di Barcellona, di cui parlavo prima, stanno arrivando molti messaggi di persone ha cui il brano ha parlato. Alcuni di loro vivono momenti difficili della propria vita e si riconoscono nelle mie parole: è il feedback più bello.
Nella canzone ci sono molte citazioni, ma la più evidente sin dal titolo è quella di Garcia Marquez. E’ un omaggio alle tue origini latine o hai un amore particolare per quell’autore?
Entrambe le cose: sicuramente mi sta a cuore in quanto pilastro della letteratura latinoamericana, ma soprattutto come autore, con particolare riferimento alla corrente artistica nel quale si colloca, che definirei realismo magico, di cui hanno fatto parte altri artisti a me cari come Frida Kahlo o il nostro Gianni Rodari. Immodestamente mi inserisco anche io in questo filone, nei miei testi fantasia e razionale si fondono, così come magia e realtà nei libri di Marquez. Il sottile confine tra vivi e morti dell’opera di Marquez lascia un senso di straniamento, così come quando si vive un rapporto “tossico”, nel quale credi di vivere e condividere qualcosa di reale com qualcuno che poi si rivela un fantasma, nel senso che sta recitando.
Passando a qualcosa di completamente diverso: hai visto il Festival di Sanremo?
L’ho visto, almeno in buona parte.
Chi ti ha impressionato?
Sono stato molto colpito dal brano di Levante: è uno di quei pezzi che ti fa dire “cavoli, avrei voluto scriverlo io!”. Lei è fantastica e il suo TikiBomBom mi è piaciuto moltissimo. Ho apprezzato anche la canzone vincitrice, sebbene non sia il mio genere. Diodato ha una voce incredibile. Ho inoltre trovato tragicomicamente poetica l’esibizione di Bugo e Morgan….
Da quale parte stai in quella polemica?
Non saprei dirlo: la percezione che possiamo avere dall’esterno non sarà mai reale, non possiamo conoscere le dinamiche che stanno dietro. Sarò un po’ complottista, ma mi piacerebbe sapere se ci sia una pianificazione alla base di tutto questo. Mi stanno simpatici entrambi, però, e avrei voluto che Bugo, invece di andarsene, avesse avuto il sangue freddo di rispondere. Sarebbe stata la cosa più hip-hop mai accaduta sul palco di Sanremo!
Cosa pensi del fatto che in conclusione chi ha presentato un brano più classico, più “sanremese” sia finito in fondo alla classifica?
Credo che il corso della storia sia quello di andare avanti. Il penultimo vincitore, Mahmood, ha portato una incredibile ventata di aria fresca nella musica pop italiana. Diodato strizza meno l’occhio ai teenager ma è comunque molto attuale. Credo che negli anni a venire tutte le realtà che stanno portando i propri artisti a Sanremo capiranno che è necessario uno svecchiamento e risultare appetibili anche a chi ha qualche anno in meno.
Domanda forse retorica: ti piacerebbe andare a Sanremo? E se sì, quale è un percorso possibile per arrivare a un palco così importante?
Sicuramente mi piacerebbe moltissimo. Se me l’avessi chiesto quando facevo il rapper ti avrei di certo risposto “Io? Mai!”. Ma si tratta di un palco di grande prestigio, calcato da artisti incredibili: sarebbe solo un onore e un privilegio.
Il percorso, poi, è quello che dovrebbero seguire tutti: sperimentare con la propria arte, trovare una cifra stilistica sempre più chiara e fruibile anche dal grande pubblico e sperare di avere l’occasione di portare qualcosa di unico a Sanremo. La chiave (e queste ultime edizioni ne sono la prova) è proprio l’unicità del prodotto, oltre naturalmente alla fruibilità e all’appeal televisivo. Il pubblico è tutt’altro che stupido e si accorge quando un pezzo è unico, originale e di qualità.