Inaugurata l’opera di Giò Pomodoro “Contatti Tenaglia” (1970) nel Campus dell’Università IULM
“Un quartiere si può rigenerare anche a partire dalle opere d’arte che ospita. L’idea è quella di fare del Campus IULM un territorio di bellezza diffusa e un museo espanso della comunicazione”, così ha dichiarato il Rettore dell’Università IULM, professor Gianni Canova, durante l’inaugurazione dell’opera in bronzo Contatti Tenaglia (1970) di Giò Pomodoro (1930-2002).
Nel giorno della nascita di Giò Pomodoro (17 novembre 1930) il Campus della IULM si fregia di un’altra opera d’arte di grande valore estetico e culturale, confermando la volontà dell’Ateneo di creare un museo d’arte a cielo aperto e fruibile non solo alle studentesse, agli studenti, a chi insegna e lavora nell’Università, ma anche alla cittadinanza.
Alla cerimonia di inaugurazione sono intervenuti, oltre al Rettore, il professor Vincenzo Trione; Bruto Pomodoro, scultore e figlio di Giò Pomodoro; il professor Emilio Mazza.
“L’Università IULM di Milano arricchisce la sua collezione d’arte contemporanea con l’acquisizione di un’opera storica di Giò Pomodoro dal titolo Contatti Tenaglia – ha evidenziato il Preside della Facoltà di Arti e Turismo, professor Vincenzo Trione – Entrando a far parte del campus universitario, la scultura in bronzo di uno tra i più significativi interpreti del linguaggio dell’astrazione, autore di raffinati esercizi di tensione compiuti sulla materia, consolida la vocazione dell’Ateneo a porsi quale polo artistico e culturale. Come già accaduto in occasione delle acquisizioni di Porta d’oro (2009) di Marco Nereo Rotelli, Monumento all’Inferno (2018) di Emilio Isgrò e Time without end (2021) dei MASBEDO, si rafforza il legame della comunità IULM con il quartiere e si conferma la sua crescente volontà di apertura al dialogo con la città”.
“Nell’opera di Giò Pomodoro il vuoto è parte costitutiva – ha spiegato il professor Trione – Non è soltanto uno spazio accolto all’interno dell’opera, ma il vuoto è il senso stesso dell’opera”.
“L’opera in scala “umana” (cm 203 x 165 x 206) – ha aggiunto il professor Emilio Mazza, docente di Storia della filosofia alla IULM – appartiene alla serie dei Contatti, caratteristici degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, che l’artista desiderava vedere realizzati in grandi dimensioni, perché potessero ‘far sentire il vuoto come presenza viva’. Perché, come ricorda Pomodoro, ‘l’ossessione d’ogni vero scultore è il vuoto, il tentativo di esprimerlo o catturarlo o definirlo’”.
“Quest’opera è virtualmente una sorta di portale – ha sottolineato Bruto Pomodoro, figlio del Maestro Giò – un ingresso che si apre divaricandosi dall’esterno verso l’interno della scultura, quasi una sorta di richiamo verso e all’interno della cultura. Valore primario a cui mio padre teneva in modo molto forte”.