InAscolto: Aiazzi/Marocollo – Mephisto Ballad (Contempo Records – Goodfellas 2021) – Il macabro libero, su otto tracce
Un disco celebrativo.
Da celebrare in primis i quarant’anni di una delle band che ha sconvolto il panorama della musica Italiana chiamato Litfiba.
Per quanto qualcuno possa storcere il naso e giudicare il suono “datato” e/o compromesso dalle major, bisogna sempre dare credito al coraggio musicale di distaccarsi dal concetto di “canzonetta” ed esplorare hardrock, glam, e influenze new wave tardo-ottanta.
Una band che ha portato all’ascolto mainstream musica che era difficile da reperire dall’ascoltatore medio… I Liftiba hanno giocato un ruolo chiave all’ evoluzione del Rock Italiano.
Quarant’anni dopo Aiazzi e Marocollo celebrano quello che erano i Liftiba e quello che fu trentanove anni fa Mephistofest (evento di cui non c’è nessuna documentazione ma che includeva la partecipazionecon i Liftiba di Bruno Casini, giornalista e animatore culturale, per quella che viene descritta come “Una performance tra reale e metafisico, fra macabro e grottesco”).
Ora.
Ricordiamo Macabro.
Cos’è il Macabro? Reading iniziali figli del Faust (Scritti da Giancarlo Cateruccio, regista e figura di spicco della scena del teatro sperimentale con i Krypton, che affidò ai Litfiba la colonna sonora dell’Eneide che divenne poi l’album culto L’Eneide di Krypton) dove picchiano chitarre con fuzz e delay alienanti e strasci di synth (Curati da Flavio Ferri) a creare atmosfere diluite, dilaniate… esplosive quanto completamente decontestualizzate.
Il disco viene definito “Tardodiscodark” dagli autori…
Concordo, anche se si potrebbe definire lontano dal suono dark e più vicino ad un’industrial-krautrock (che poi gli addetti del settore mi diranno che è Nuwave… quindi non se ne esce più signore e signori…).
A dire il vero è difficile “generalizzare” visto che ormai i generi si sono esauriti, ma le influenze e gli intrecci sono molteplici… e forse è quello il bello della musica degli ultimi dieci anni, il crossover.
Il termine Ballad lo si intravede in “Det Sjunde Inseglet” dove i toni sono piu’ tranquilli anche se sempre cattivi, ma meno esplosivi e instabili, per poi passare a melodie completamente differenti con “Das Ende”, pacata ed ariosa… che poi, lasciatemelo dire, è uno dei brani che stranamente tocca, non volendo, fraseggi tipici del postrock degli Hammock…
Il progetto funziona. La teatralità del tutto si connette perfettamente con l’idea dei due musicisti di celebrare il macabro di trentanove anni prima e lasciarlo completamente libero su otto tracce.