Il Toccasana – Pharmacofobia
Pharmacofobia
Il mio lavoro di Farmacista Ospedaliero ispira sempre molta curiosità alle persone.
Capita molto spesso che parenti o amici mi chiedano notizie sulle terapie che devono assumere, su particolari integratori e qualcuno anche informazioni su malattie più o meno serie, oltre che inviarmi analisi o esiti di esami per dirimere dubbi e preoccupazioni prima di rivolgersi al proprio medico, quasi fossi una consolatrice rassicurante o una sorta di dispensatrice di una verità più accettabile perché rivelata con empatia.
Qualcuno invece desidera da me solo una comunicazione filtrata attraverso un linguaggio più semplice e comprensibile e meno grave.
Qualcun altro invece ingaggia una sorta di sfida, come se contraddire me sia una sorta di lotta di principio contro la medicina ufficiale, contro il Sistema sanitario, quasi come se io in quel momento non fossi una che sta facendo una passeggiata in montagna o al mare o la spesa, ma il Ministro della Sanità fuori da Palazzo Chigi.
La schermaglia verbale si esaurisce quasi sempre in un compromesso pacifico perché sono convinta che le persone arrabbiate siano fondamentalmente spaventate e male informate per cui, mantenendo ferme le posizioni della scienza, cerco sempre di evidenziare aspetti che raramente vengono poi messi in discussione.
Le due categorie che però più mi incuriosiscono tra gli utilizzatori dei farmaci sono i pharmacofilici e i pharmacofobici.
I primi assumerebbero farmaci e integratori per tutto, anche al di fuori di una stretta necessità terapeutica, perché desiderano essere in salute a ogni costo.
Hanno una sorta di regressione a un atteggiamento infantile e dipendente, al pari dei dipendenti da sostanze da abuso.
Il più delle volte questi utilizzatori sono soggetti all’effetto placebo, termine che indica l’effetto curativo di qualcosa che in verità di per sé non ha alcun effetto (come bere un bicchiere d’acqua invece di una medicina, o mandar giù una pillola di semplice amido al posto di un farmaco). In alcuni casi invece possono essere vittima di effetti collaterali dei farmaci o delle interazioni tra associazioni indiscriminate di farmaci da banco, alimenti e integratori.
I pharmacofobici invece tendono a non utilizzare farmaci nemmeno quando ne hanno necessità terapeutica opponendo una strenua resistenza e una incredibile tenacia nella capacità di gestire dolore o stati di malessere.
Quando queste persone sono costrette ad assumere un farmaco possono essere soggette a forti crisi di ansia, derivanti dal terrore di effetti collaterali o delle variazioni di un equilibrio che faticosamente hanno tentato di preservare, controllando ossessivamente le proprie reazioni organiche.
In tutti e due casi ci troviamo in situazioni che possono portare il paziente in situazioni di pericolo e il mio articolo semi-serio, senza pretendere di entrare nel merito della psicologia vuole fornire uno spunto di riflessione, derivando da un punto di osservazione privilegiata sugli utilizzatori dei farmaci.
La verità è che la pratica medica odierna, “rapida”, frettolosa e impoverita come il nostro sistema sanitario nazionale, non prende in carico il paziente come essere umano ma come utente a cui erogare una prestazione e delega alla rete e alle conoscenze, informazioni intrise di false notizie.
Manca oggi una riflessione importante e mirata che abbia per oggetto soprattutto la dimensione soggettiva del rapporto che intrattengono con il farmaco tutti coloro che, a diverso titolo, entrano in relazione con esso.
Sarebbe il caso ad esempio di individuare le variabili di natura psicologica che possono condizionare significativamente l’efficacia di una farmacoterapia e di dotare di strumenti pratici e teorici, coloro che si interfacciano con i pazienti nella pratica professionale.