IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO – Correva l’anno, il mese, il giorno… 9 dicembre 1964
Correva l’anno, il mese, il giorno… 9 dicembre 1964
È il 9 dicembre del 1964. Dopo le vacche grasse degli anni passati, per la prima volta dall’esplosione del boom l’economia nazionale, complice la massiccia fuga di capitali all’estero, segna una battuta d’arresto e una prima, se pur lieve, decrescita.
Tuttavia, al momento, gli effetti sono appena appena percepibili, le notizie in merito stampa e televisione si riguardano bene dal fornirle e la massa si dedica felice e fiduciosa alle spese per il Natale imminente.
Come se ci fossero due Italie. Una da copertina, spensierata ed energica, che ancora con il Natale alle porte celebra il record assoluto di villeggianti in agosto, riproponendo in loop l’immagine dell’Autostrada del Sole intasata di Fiat Cinquecento. E un’altra sotterranea e inquietante, ma dannatamente e tragicamente più vera, instabile e fragilissima, che appena cinque mesi prima, proprio mentre ci si apprestava a celebrare il record di affluenze nelle spiagge e nelle località di villeggiatura, è stata a un passo da un Colpo di Stato militare, con a capo il generale dell’arma dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo, teso ad arrestare l’ingresso del PSI nell’area di governo.
Ma questo gli italiani non lo sanno, né lo sapranno per molto, moltissimo tempo. L’unica inquietudine politica che si palesa sono le dimissioni del Presidente della Repubblica Segni (che come rivelerà Aldo Moro quattordici anni dopo, nel celebre memoriale redatto durante i cinquantacinque giorni del suo sequestro era direttamente implicato nel colpo di Stato) per motivi di salute. In quel 9 dicembre le elezioni per il nuovo Capo di Stato sono imminenti (il primo scrutinio è previsto per il 15, sei giorni dopo), in uno scenario quanto mai intricato e incerto che si intreccerà con le feste natalizie e troverà soluzione solo a fine anno, il 28, al termine di una maratona estenuante fatta di ben ventuno scrutini. Sarà eletto il socialdemocratico Giuseppe Saragat, artefice di una politica ambivalente tanto aperta alle coalizioni di centrosinistra quanto dichiaratamente ostile alla sinistra. Tutto e il contrario di tutto, per accontentare chiunque senza fare felice nessuno. La fotografia perfetta dell’Italia del tempo.
La musica, quella che imperversa in radio e nei jukebox, in quel 9 dicembre è in tutto e per tutto lo specchio della prima Italia, inconsapevole e spensierata. Un universo parallelo dove non esistono problemi, ad eccezione dei cuori infranti. Al primo posto troviamo infatti il più classico Morandi prima maniera, a metà tra il bambinesco e l’amorazzo adolescenziale (e ancora lontano anni luce dal beat sul Vietnam), con la celeberrima In ginocchio da te (https://www.youtube.com/watch?v=HZvnrhJB2TE), scritta dall’onnipresente Migliacci. Con tanto di apposito e omonimo film “musicarello” diretto da Ettore Maria Fizzarotti e interpretato dallo stesso Morandi e dalla bellissima Laura Efrikian, con cui il cantante convolò a nozze poco dopo la fine delle riprese.
Discorso identico per il brano in quinta posizione, fresco fresco di ingresso in Top Ten, quella Peccato che sia finita così (https://www.youtube.com/watch?v=1V1KeAGRFk8) cantata dalla voce dell’austriaco Udo Jurgens che qui coverizza se stesso, nella versione adattata in italiano, guarda caso, ancora da Migliacci. Che ripropone, sempre guarda caso, le pene inconsolabili degli amorazzi adolescenziali.
Gli altri due brani sul podio rispondono alla stessa logica del disimpegno e del non pensare a tutti i costi, ma con un registro del tutto diverso. In seconda posizione c’è La mia festa cantata da Richard Anthony (https://www.youtube.com/watch?v=9F7r4nzqfOY), adattamento in italiano curato da Mogol di C’est ma fete, brano francese interpretato dallo stesso Anthony e a sua volta adattamento francese dell’originale inglese It’s My Party di Lesley Gore. Il tema portate è sempre, e come ti sbagli, l’amore; la festa cui alludono i titoli di tutte le versioni è per la liberazione da un sentimento che teneva incatenato il protagonista a una donna ingrata e crudele (e come ti sbagli anche qui). Ma la stessa festa conferisce al brano un andamento allegro e ballabile.
Così come ballabile è soprattutto l’allegro pop rock E adesso te ne puoi andar, saldamente al terzo posto, della band cosmopolita Les Surfs (https://www.youtube.com/watch?v=xnwEh0k_fDQ). I sei fratelli originari del Madagascar spopolarono soprattutto nei paesi francofoni, ma ebbero successo anche in lingua inglese e in lingua spagnola. In Italia parteciparono a tre edizioni del festival di Sanremo (in particolare a quella del 1967, quando in abbinamento con Annarita Spinaci arrivarono secondi), dopo aver trovato grande fortuna nello stivale proprio grazie a questo brano, cover di I Only Want to Be with You di Dusty Springfield, che Les Surfs proposero in inglese, in francese, in italiano e quindi in spagnolo.
Tolto il successo di Morandi, a spopolare sono tutte cover, altro segno inequivocabilmente in linea con i tempi: nel tentativo di frenare ogni possibilità di rinnovamento, si punta e si spinge a più non posso sull’usato sicuro, quieto e rassicurante.
Tutto qui? Non proprio, visto che in sesta posizione fa capolino la classica eccezione che conferma la regola: la splendida Te lo leggo negli occhi di Sergio Endrigo, nella prima interpretazione di Dino. Si parla sempre d’amore, ma la levatura di versi e musica è decisamente di un altro pianeta. Che non c’entra nulla con il 1964, ma con il fatto, semplice e disarmante, di parlare la lingua del capolavoro. Senza tempo e senza spazio.
“E nei tuoi occhi che piangono
Mille ricordi non muoiono
Perdonami se puoi
E resta insieme a me…”